to Rome, with love … and irony
Mancava solo il calcio, nella lista dei luoghi comuni che aleggiano sugli italiani da parte dell’opinione pubblica internazionale, poi il resto c’era tutto: il traffico, le indicazioni stradali, il vaticano, il cinema, l’opera, le escort, le interviste televisive al cosiddetto uomo della strada, perfino i rischi della passionalità e i furti. Tutto vero, insomma, o verosimile, anche a carico degli americani e al loro modo romanticamente pragmatico di vedere l’Italia tra entusiasmi e pregiudizi, ma questo collage di dejavu è condito da tale raffinata ironia da rasentare la genialità. Nel film di Woody Allen tutto è banale e grottesco contemporaneamente, le vite dei personaggi a volte si intrecciano e a volte no, vengono solo mostrate in parallelo in un caleidoscopio di situazioni che possono accadere dovunque nel secondo millennio e che “miracolosamente” nel film capitano a Roma, città eternamente affascinante, capace di rigenerarsi grazie alla forza della sua bellezza vitale.
La malinconia di Melpomene evocata dal “fantasma” dell’architetto Isaac Davies, aggiunge agli episodi un tocco di ironico disincanto tipico della città eterna, tratto colto da Allen forse per caso, che spiega la scelta della location aldilà del suo non malcelato proposito di “batter cassa” con la “grancassa”. Ho sentito molti pareri sfavorevoli sul film e mi chiedo se ci siamo così disabituati all’ironia, qui in Italia, da non essere più capaci di ridere degli altri e di noi stessi. L’aspetto positivo, per una volta, è che il degrado descritto colpisce sia il Nord (la coppia di Pordenone) che il Centro-Sud (gli ambienti di potere della Capitale e la stampa), e questa volta gli italiani che hanno per anni applaudito la retriva satira regionalista di Zelig, si indignano tutti.
Mi preoccupa la battuta della giovane attrice americana che avrebbe desiderato vedere Palermo con il suo malcapitato e immediatamente abbandonato giovane partner. Che sia in arrivo Allen o Alien? Che idee ha sui palermitani? Le solite?
Non credo che il target di riferimento della pellicola siano gli italiani di Zelig. Non solo almeno, e da chi ha visto il film per Allen, sono molto delusa anch’io. Carrellata di luoghi comuni appoggiati su grandi classici della cinematografia italiana (a me è sembrato di rivedere il sacro “Sceicco bianco” di Fellini) a livello narrativo, errori di raccordo e microfoni in primo piano a livello tecnico. Mi piace ridere degli altri e di me stessa e della mia italianità, ma appunto vorrei ridere di questo, non di atteggiamenti italiani che sono blandi surrogati da cartolina.
A me è sembrato un film che delineava bene solo una cosa: la fine della creatività dell’autore.
sarà pur vero ciò che dite, ma io ed altri ci siamo sinceramente divertiti.