Cosa fare da grandi? 9 giugno: parte il laboratorio del Quinto Stato a Palermo
“Siamo milioni. Donne e uomini. Giovani e meno giovani. Italiani e migranti. Professionisti stagisti e apprendisti. Studenti e artisti, precari e lavoratori autonomi. Spesso siamo tutto questo e anche molto altro”. Così si presenta il Quinto stato sul sito http://www.ilquintostato.it/. Questa moltitudine variopinta di lavoratori della conoscenza si è riunita a Palermo, presso la Sala De Seta ai Cantieri culturali alla Zisa – luogo che è stato già opificio del materiale e, più di recente, dell’immateriale in fermento. A partire da un incontro svoltosi a Roma presso la Città dell’Altra Economia a fine maggio, la discussione si rinnova grazie a un’interazione virtuosa con quattro realtà palermitane (I Cantieri che vogliamo, CLAC, Laboratorio Zeta, Teatro Garibaldi).
La giornata di laboratorio è stata opportunamente intitolata “La quinta stagione è arrivata”, a indicare un tempo nuovo, che non esiste ancora, malgrado sia diventato negli ultimi tempi questione su cui molti si sono già interrogati.
L’assemblea è stata aperta da una serie di parole-chiave elencate da Cristina Alga (CLAC): coalizione-collettivo-aggregazione, a sottolineare il valore di moltitudine oscurata normativamente eppur visibile concretamente degli indipendenti. Passare dalle parole-chiave alle definizioni richiede tuttavia un salto epistemologico ben più consistente: cos’è, di fatto, il lavoro indipendente? Sicuramente qualcosa che “permette il cambiamento” (C. Alga) ma, più probabilmente, destino, come nota Roberto Ciccarelli (co-autore del volume La furia dei cervelli), sulla base dei dati OCSE che stimano una durata della recessione almeno fino al 2020. Un destino soffuso, scivoloso, se è vero che la legislazione lavorativa attuale rimane ancorata alla figura quasi estinta del lavoratore dipendente a tempo indeterminato. Diritti fantasma, dunque, che spesso si accompagnano a doveri misteriosi, soprattutto quando un freelance si ritrova da un commercialista più confuso di lei/lui.
Le testimonianze dell’assemblea non reagiscono a questa mancanza di riconoscimento con una rivendicazione a livello normativo (alquanto complessa da realizzare, data l’estrema varietà di mansioni e committenze), ma cercano piuttosto una risposta dal basso, realizzando modelli diversi. Per esempio, propone Ciccarelli, costituendo un pubblico che si liberi dall’equivalenza allo statale, attuando quella che viene lanciata come parola-chiave finale di un processo appena attivato: disintermediazione.