progetto di artisti per Lampedusa

24 giugno 2012 di: Chiara Ferrara

Nel cuore del Mediterraneo c’è un’isola che ospita, accoglie, disseta, che è diventata luogo di incontri in migrazione durante lo scoppio della Primavera Araba: questo territorio sperduto è Lampedusa, dove da molti anni i barconi della speranza che raggiungono l’isola, riversano le anime disperate sugli approdi o nelle acque limitrofe. Alla luce di questi avvenimenti complessi e drammatici, tre anni fa è nata l’idea di un progetto incentrato sulla riflessione sui temi della fuga, della speranza e dell’alterità. Questa isola con le sue contraddizioni e le sue ricchezze emotive è il punto di partenza della mostra “Più Sud – Un progetto per Lampedusa”, curato da Paola Nicita, che ha visto la realizzazione delle opere degli artisti Francesco Arena, Emanuele Lo Cascio, Sislej Xhafa. Ad ispirare gli artisti è Lampedusa stessa, la sua geografia, la sua storia: un luogo emblematico del Mediterraneo, un’isola ancora italiana ma sita più a Sud di Tunisi e Algeri, induce gli artisti alla traduzione della loro esperienza del luogo in progetti che intrecciano le vicende personali al contesto storico e sociale.

In questo progetto, Lampedusa incontra la Sicilia e quest’ultima si rapporta e dialoga con l’altra isola per mezzo delle opere d’arte, delle esperienze umane, delle riflessioni, degli incontri e degli scontri. Tre le opere: “Corridoio-percorso da compiere 93 volte e mezzo”, di Francesco Arena, riaccende il ricordo dei giochi d’infanzia dell’artista, a casa dei nonni, per legarlo indissolubilmente alla distanza che i migranti, approdati al molo Famularo, coprono per raggiungere il centro di accoglienza di Lampedusa: si tratta di due chilometri, un perimetro da percorrere per l’appunto 93 volte e mezzo. “Şalāt”, di Emanuele Lo Cascio, è una sezione di marmo che riporta un frammento della superficie del mare di dimensioni del tappeto utilizzato per le preghiere giornaliere musulmane, da cui prende il nome. “I manu”, di Sislej Xhafa, si affida alle mani e alla terracotta, due elementi primitivi, caratteristici della cultura mediterranea, per prendere corpo in una colonna di due metri fatta di sovrapposizione e tatto. Nella sala di accesso alla mostra, una parete raccoglie gli oggetti che, insieme ai viaggi, agli incontri e alle riflessioni, hanno portato a questo progetto: una bussola, il manoscritto di un esilio, un vecchio amo, le richieste d’asilo e alcune immagini danno forma di atlante a questo assemblaggio che si ispira al Mnemosyne per un omaggio ad Aby Warburg.

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