donne al comando, con dolcezza o con rigore?

20 agosto 2012 di: Simona Mafai

Da molti decenni il movimento delle donne, nelle sue diverse e contrastanti anime, ha rivendicato, come un irrinunciabile obiettivo di civiltà, una presenza paritaria di donne ed uomini nelle stanze del cosiddetto potere. Questa rivendicazione non è mai stata puramente formale; essa era (è) nutrita dalla profonda convinzione che la presenza femminile nei luoghi decisionali, affermandosi ed estendendosi, comporterà un significativo mutamento di metodi e di civiltà. Le cose sono cambiate questi anni in Italia? Si avverte almeno un accenno di cambiamento?

Penso di sì. La presenza delle donne in quasi tutti i luoghi di comando e governance, si è affermata ed estesa. Figure femminili di primo piano sono presenti in magistratura, tre donne fanno parte del Ministero Monti con ruoli e responsabilità generalissime; donne sono il segretario nazionale della Cgil e il capogruppo del Pd al Senato; in queste settimane una donna è stata chiamata – dopo anni di polemiche furibonde – alla presidenza della Rai.

Cambia qualcosa? Cambierà qualcosa? Vi è un qualche carattere positivo che le donne stanno portando e porteranno nel loro lavoro, dando avvio ad una trasformazione delle istituzioni e del loro rapporto con cittadini e cittadine? Mi piacerebbe che cominciassimo a parlarne. Certo – a smentire gli stereotipi sulla endemica fragilità femminile – si può rilevare in queste donne severità, rigore, resistenza agli accomodamenti. Dove sono finiti i “mal di testa” femminili, che hanno riempito per secoli le pagine dei romanzi? Le nostre ministre (e magistrate, e dirigenti sindacali e politiche) non ne soffrono mai?

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