elogio del vino e del piccolo libro di Bernarda
Non sempre un o una protagonista di una storia devono essere personaggi eccezionali di opere memorabili per etica o valore, un personaggio come Bernarda dal piccolo libro di Gisella Modica, Falce e martello e cuore di Gesù, si è insinuato dentro di me per la sua forza ma anche per la sua fragilità. Ho amato la sua storia sin dalla prima lettura. Forse anche per via del titolo dell’intervista di Gisella Modica: ”Bernarda e la botte di vino”, perché il vino fa parte della storia della mia vita e della mia famiglia.
Il mio nonno materno produceva il vino con l’uva delle sue vigne, ne era orgoglioso, ed io, bambina, ne seguivo tutte le fasi di lavorazione … ricordo l’odore forte e zuccherino del mosto, il sobbollire della fermentazione, la morbida rugosità del tappo di sughero, la botte panciuta – tenuta insieme da cerchi di metallo – che nelle mie fantasie era un viso paffuto con le guance gonfie di vino, trattenuto a stento dalle labbra serrate in uno sforzo costante, sempre sul punto di sputare fuori fiotti di liquido caldo. E poi il vino cotto, bevuto come digestivo e corroborante, usato per l’impasto di biscotti deliziosi e speziati.
E ora c’è il vino dei miei suoceri, chiamato da noi “Rubino di Aquino”, delizia per il palato, la vista e l’olfatto, l’appuntamento annuale della vendemmia fatta insieme alle persone più care, la magia del frutto che diventa nettare della tavola, la storia degli acini, separati dal raspo prima, pressati con dolcezza nel tino poi, la fermentazione che parte e che gorgoglia sorniona, la rottura del “cappello”, il riposo nelle botti d’acciaio, i travasi e l’imbottigliamento finale.
Il vino rosso ha il colore del sangue, della vita e della morte, del piacere e del dolore…Bernarda lo aveva spillato per una sosta di convivialità programmata e pregustata da suo padre, un momento di chiacchiera e riposo con i compagni dopo un’altra giornata di fatica sui campi assolati, di lotta per la conquista dei diritti negati, di marcia “pì n’anticchia di terra” da lavorare per campare.
Un sorso generoso dal bicchiere colmo, il ristoro di quel nettare tannico che sembra placare fatica e rabbia e dare nuova linfa al corpo e alla mente; il dorso di una mano callosa che raschia via una goccia sfuggita, veloce, dalle labbra spellate dal sole e distorte dai denti avariati e spezzati. I commenti ai momenti più difficili, al pericolo scampato, alle pietre che hanno rotto una zappa, le battute maschie su qualche gonnellone sollevato dal vento o uno scampolo di seno fuoriuscito da una scollatura troppo profonda, i piani di lotta, determinati e duri, per i giorni a venire, le gambe forti ancorate a sgabelli di legno e tarli.
Quel vino che, invece, viene usato poi da Bernarda e da sua madre come disinfettante improvvisato per tamponare e medicare gli squarci sulle carni dei lavoratori che, uniti, manifestavano la loro fame di pane e di giustizia, colpiti a tradimento da proiettili feroci e ingiusti, sparati per dimostrare che i più forti sono sempre loro, i padroni, e la legge marcia e ottusa che colpisce i deboli che alzano la testa e insorgono. Storia che si ripete, in ogni tempo, in ogni dove.
Quel vino che si mescola al sangue dei feriti rappreso sul pavimento della casa di Bernarda, presagio del sangue scuro del feto scivolato via dal grembo di sua madre, stremato da tanta fatica e orrore, vittima innocente primigenia e inconsapevole di un potere pingue ed indifferente.
Io e Bernarda, Bernarda e sua madre, io e mia madre; brandelli di vita di mia madre abortiti dal tempo e dalla malattia, che scivolano via, lasciando una scia rossa di dolore che io cerco di tamponare, di raccogliere e di custodire…porto al petto le pezze imbibite di Lei, le tengo strette, e poi le tuffo di nuovo nella scia, per non perderne neanche una goccia.
Grazie Silvana per aver ricordato il nome di Bernarda, figlia di Sicola, il segretario della camera del lavoro di Bisacquino, nel ’47. Una donna,che insieme a molte altre, partecipò all’occupazione delle terre, dai libri di storia dimenticate e per me invece madri simboliche perché grazie a loro nel lontano ’77, ancora militante dentro la sinistra extraparlamentare, mi si sono aperti gli occhi e imparai col tempo la differenza tra la Storia con la S maiuscola, fatta di grandi gesti e battaglie, e le storie, tante, tantissime delle donne fatta di ricordi messi in moto da un particolare, ma soprattutto di un’emozione forte, che segna la vita, come nel caso di Bernarda. Avere avuto la fortuna di ascoltare la loro voce, stargli accanto gomito a gomito, mi ha fatto capire che la verità dei grandi fatti, in quel caso la lotta per le terre e il suo fallimento sfociato nella riforma agraria, la capisci se cambi sguardo e lo posi sul modo di fare delle donne che vi hanno partecipato. Quello che mi mostravano Bernarda, Rosaria, Maria, Concetta e tante altre era ciò che molti anni dopo il femminismo chiamò “eccedenza femminile”, un di più, sporgersi verso un altrove che uno sguardo distratto scambia per solidarietà agli uomini, marginalità, a volte follia e invece, in quel caso, altro non era da parte di queste donne che partecipare agli aventi cercando di rimanere fedeli a se stesse. Prendere, contro la volontà dei compagni , l’effige del cuore di Gesù e portarlo in corteo insieme alla bandiera rossa, perché loro erano l’una e l’altro: comuniste e insieme molto vicine al sacro, come sacre erano tutte le manifestazioni del mondo contadino vissute dalle donne. “Sarà per questo che il movimento comunista è fallito, si domanda Luisa Muraro, per non aver seguito le donne nel loro andare oltre?” Oggi cara Silvana con molta convinzione ti rispondo: si è per questo. E riguarda non solo il comunismo ma tutte le manifestazioni che auspicano un cambiamento radicale, compreso il femminismo.
Grazie a te, Gisella, per le tue parole e per aver offerto a tutti noi, con il tuo lavoro, la possibilità di conoscere una fetta di storia della nostra terra da una visuale diversa. La storia è sempre stata scritta al maschile, il ruolo delle donne è rimasto sommerso, in ombra; la tua opera ha fatto luce sul mondo femminile, complesso e rivoluzionario, di un preciso segmento storico e socio-culturale, che ha una valenza trasversale tale da valicare i confini spazio-temporali.
E’ grazie a te e alle parole di donne raccolte da te, dunque, che le voci di Bernarda, Rosaria, Maria, Concetta e di tante altre non sono state soffocate dalla polvere del tempo e dell’indifferenza verso l’universo femminile, ma sono state ascoltate: le loro voci, le loro storie, la storia ……
Le donne sanno andare “oltre”: concordo con te, bisognerebbe seguirle, ascoltarle e supportarle, per cambiare, insieme.
Da più d’una vita ho certezza che la profondità di pensiero di Silvana (a cui mi lega molto più che un’amicizia, un rapporto di grande emozione condivisa che oggi sfiora l’impensato traguardo di tre decadi) trovi spesso le vie più impervie traiettorie per raggiungere il cuore di chi ascolta. Una profondità a volte nascosta da quel suo sorriso di velata timidezza, che la luce improvvisa degli occhi, però, tradisce e rivela a chi sa guardare oltre l’apparenza.
Leggere l’emozionante racconto del suo rapporto col testo, sofferto e dilaniante, con la storia della lotta, del sacrificio e della passione di queste donne del nostro recente passato, non può non risvegliare le assopite corde dell’anima, che troppo spesso giacciono mute nel profondo di troppi abitanti di quest’isola perduta, appendice dolorosa a metà tra il Sud di un mondo ed il Nord di un altro.
Grazie, Silvana. Per avermi trasmesso l’emozione con le tue parole, sulla pagina virtuale di un blog e sulle assi difficili di un palco. Per avermi comunicato ancora una volta, la bellezza pura e solare del tuo essere donna, per avermi donato la chiave al tuo rigoglioso giardino interiore.
Non smettere di scrivere, amica mia. Non farlo mai. Continua a nutrire il tuo dono con l’amore che dedichi al ‘Rubino di Aquino’, ed anche le più grandi sofferenze dell’anima troveranno riposo tra le lucide righe del tuo narrare.
E’ evidente che è una presa per il c…. la sdolcinatezza è eccessiva…non ci badate, di matti o deliranti è pieno il mondo..su questo sito ce ne sono tanti che ogni tanto “sbroccano”
“Così è, se vi pare”, scrisse un grande.
Ognuno si esprime come sa e come può….e certo non ci si può aspettare che tutti conoscano e sappiano riconoscere la bellezza e la purezza di rapporti di amicizia, stima e affetto radicati nel tempo o apprezzare, in toto o in parte, la linea editoriale di un blog.
L’ amicizia è, per me, un bene prezioso e irrinunciabile; quella con Antonello sicuramente un privilegio. E le sue parole ne sono l’ennesima conferma.
“a ciascuno il suo…” , scrisse un altro grande….