Maschile plurale: donne, cittadine, elettrici e segretarie negli statuti dei partiti nostrani

7 settembre 2012 di: Marianna Marino

I ricordi delle quote rosa berlusconiane non si sono ancora sbiaditi, no: la Minetti fa parlare di sé in qualsiasi modo, la Gelmini continua a far gaffe, la Brambilla sopravvive come animalista militante… Solo la Carfagna sembra stare in quiescenza! Contagiata dal perbenismo delle tecniche? Fornero esclusa, ovviamente, che si lamenta un po’ ingenuamente dell’essere bersaglio di critiche poiché dotata di due cromosomi X. In ogni caso, sarebbe forse opportuno che il dibattito sulle donne in politica oltrepassasse lo scoglio delle percentuali per analizzare in modo più approfondito il ruolo affidato loro nei partiti che queste quote dovrebbero rispettare. Al di là dei programmi, dunque, occorre verificare l’esistenza di una questione femminile nella carta d’identità dei partiti politici, ovvero nel loro statuto.

Quella presentata di seguito non è – ovviamente – l’analisi invocata sopra, ma soltanto la sintesi di uno sguardo incuriosito e interrogativo, nonché inesperto (il mio). Innanzitutto è importante rilevare la premura linguistica nei confronti delle pari opportunità in questi spesso noiosi e notarili scritti. Non tutti si preoccupano di volgere al femminile qualsiasi sostantivo: per praticità? per indifferenza? non lo sappiamo. Ma sicuramente quelli che si beccano un sonoro zero in questo genere di attenzione sono gli statuti di UdC, Futuro e libertà e il non-statuto del Movimento Cinque Stelle (in cui d’altra parte il nome di Beppe Grillo è più che martellante…), rigogliosi in termini volti al maschile plurale (tranne per il segretario).

Citazioni di puro servizio sono invece quelle di PdL e IdV: casi in cui le donne servono a fare numero, insomma. Si veda, per esempio, l’articolo uno dello statuto del Popolo della Libertà: “Il Popolo della Libertà è un movimento di donne e uomini che credono nella libertà e vogliono rimanere liberi […]. Il Popolo della Libertà riconosce e promuove la più ampia partecipazione popolare alla vita pubblica, sociale e nelle istituzioni; garantisce il rispetto del principio di pari opportunità fissato dall’art. 51 della Costituzione della Repubblica; esalta il riconoscimento del merito e rifiuta discriminazioni personali e sociali di qualunque natura”.

Una più intensa cura linguistica è evidente nello statuto del PD, che pullula di cittadine, donne (anche “giovani donne”), elettrici, iscritte. Tuttavia, i più attenti si rivelano avanzando più in là, anzi, uscendo dall’emiciclo: si tratta di SeL e Rifondazione Comunista, gli unici a tirare in ballo la differenza sessuale e/o di genere come problematica originaria. Rifondazione, nella fattispecie, è il più ‘femminista’ dei partiti italiani, poiché prevede inoltre la costituzione di un Forum permanente delle donne, di una Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori e di una Conferenza nazionale delle donne comuniste. Queste ultime formazioni sono anche tra le poche a prevedere un/a segretario/a.

Insomma, alle (più o meno) prossime elezioni, cherchez la femme

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