questo Paese Italia sottosopra
Abbiamo una speranza. Incredibilmente ce la danno i partiti politici o aspiranti tali che si agitano senza sosta con l’ansia di governare. Ma allora, si può? Qualcuno ha davvero un programma forte ed efficace nella manica, e sa di poter fare per gli italiani ciò che non è stato fatto finora? Qualcuno ritiene di essere assai più bravo di altri? Sappiamo che altre sono le motivazioni. Lo sappiamo perché il divario tra il paese reale e la politica ormai si segna visivamente con una pesante linea di sbarramento. Un baratro, un crepaccio che chi vuol governare non ha interesse a riempire, perché se si è al potere, e si è visto, non si risponde a nessuno, tranne che non sia compagno o complice, persino. Non si risponde né di reati né di omissioni, né di assenze né d’incompetenza. Si è assessori, presidenti, onorevoli e basta. Almeno in larga misura. A chi dovrà dare fiducia l’elettore prossimamente – tra due mesi in Sicilia e non molto oltre in Italia – se ciò che nota è incentrato principalmente nelle possibili alleanze e negli scontri di chi vuole candidarsi al vertice, o comunque riguadagnarsi la sua redditizia poltrona parlamentare?
In verità l’elettore conta poco, perché non esiste alcun limite numerico di conta alle urne. Se a votare, prima o dopo, dovesse andare un terzo della popolazione, il fatto rimarrebbe pura curiosità di cronaca. Si parla di astensioni quando si calcolano le percentuali dei votanti, ma con quel che si ha si va avanti lo stesso. Perché di stare a riflettere su quei cittadini consapevoli di quanto sia importante e determinante il loro voto, non c’è alcuna voglia. Si fa più presto a pensare che non esistano e che essere eletti, da una parte anche risicata di elettori, vada bene lo stesso. Tutto sta a riprendersi i privilegi di una “casta” – mai parola è stata più appropriata se ci riferiamo ai politici dell’ultimo ventennio – e passare indenni attraverso tutto.
Infatti i disagi della vita, la crisi economica lacerante, la disoccupazione che si allarga, e la precarietà dei posti di lavoro che cresce, la salute difficile da difendere, la scuola dei figli senza attenzioni e cautele, appartengono ad altri. Alla maggior parte dei cittadini, quelli che stanno peggio di pochi altri ma che hanno in proporzione, forse, oneri maggiori. E per di più sono i destinatari delle solite considerazioni populistiche, false, retoriche, ripetitive. Nessuno interrompe il malcostume della politica in Italia, né contano gli scandali e le provate accuse di corruzione e di sperpero del denaro pubblico. Nessun politico, governi in Lombardia come in Sicilia, in Padania o altrove – l’elenco occuperebbe la pagina intera – mostra il minimo pudore, si pente, fa ammenda, si dimette sua sponte. Anzi continua impavido a raccogliere tutto ciò che può, a rientrare in scena semmai ne fosse uscito. Parlano Formigoni, Verdini, Bossi, solo per citare i primi che ci vengono in mente? Grande attenzione, lungo servizio sui telegiornali! Ma non è quello stesso che sta sotto processo, che è accusato di corruzione e quant’altro? Proprio lui, non un omonimo. E perché mai? si chiede l’elettore che non ha votato.
Perché astenersi non è giusto e non serve. O dovrebbe farlo un elettorato intero, senza eccezioni. E non è possibile. Tanti elettori si raccattano sempre tra chi, o ha la tessera di partito o è fanatico di un leader stagionato o da poco signore delle piazze, o tra chi ha tanto bisogno di aiuto e vuole credere nelle promesse dell’onorevole di turno. Dunque defilarsi non serve. Né rassegnarsi. O avremo la stessa politica autoreferenziale, la stessa informazione più referenziale che mai e ci nutriremo degli scandali che fanno breve notizia, dei giudizi e delle valutazioni di chi ha sempre spazio per dire la sua, onorevole, giornalista, esperto che sia. Noi siamo il paese del dibattito, della smemoratezza, delle contraddizioni. Noi siamo l’utenza indifesa di un grande ring senza campioni. Dico di noi elettori in ogni caso che, scontenti o incerti, onoriamo la scheda col nostro nome. E che vogliamo davvero un’Italia che si salvi. E per questo non ci va di insorgere ad ogni piè sospinto. Specie contro Monti o Napolitano, ci vada bene o meno ciò che si trovano a dire o a fare nello svolgimento di un compito istituzionale. Se è legittimo e inalienabile il diritto alla critica, è altrettanto vero che può trasformarsi in un boomerang.
Come non volere che Monti e il suo staff ce la facciano, che la scuola ritrovi, come pare, dignità, che le imprese rialzino la testa, che gli aggravi delle tasse non siano ingiusti. Come non tremare per la sorte dei minatori del Sulcis o per gli operai di Taranto. Noi dobbiamo uscire dalla palude. Poi, se il ministro Passera vuole continuare, come lascia intendere, a far politica, decideremo alle urne. Da liberi elettori.
In questi giorni cercavo di ragionare sull’argomento del partito del non voto, degli astenuti, di quelli delusi che hanno confuso i politici con la politica, purtroppo. Da cosa si astengono? Danno un giudizio morale del quale i politici non hanno che farsene, anzi ne beneficiano. Gli astenuti sono i cosiddetti schifati e si astengono dal prendere una posizione. Ma sono realmente convinti che l’astensione faccia bene alla politica? Ma loro se ne fregano lo stesso. Si mettono all’angolo, preferibilmente su uno sgabello e da li osservano, giudicano e si sentono potenti perché possono astenersi. Più che potenti mi sembrano impotenti volontari, quindi dei cittadini a metà. Lo capiscono che una non posizione è già una posizione? Ma soprattutto lo capiscono quei partiti di sinistra che dovrebbero cercare di fare riavvicinare i delusi, gli schifati, gli impotenti volontari? Che succede a sinistra? Si cercano alleanze con l’UDC. Che abbiamo da condividere con l’Udc, anche con la parte migliore di loro? Pochino, credo. E allora che fare? La sinistra cerchi di convincere i non votanti a prendere una posizione, qualunque essa sia, perché l’assenza non ha mai contato realmente niente.
ottimo articolo, tutti noi dovremmo focalizzarci per lottare l’assenteismo che giova a chi spera proprio nell’assenteismo della carne da macello che siamo diventati noi elettori.