cosa arma le mani violente dei maschi assassini

21 ottobre 2012 di: Monica Lanfranco

La ragazza perseguitata dal fidanzato a Palermo aveva chiesto aiuto, ma era solo una delle tante ragazze con un ex fidanzato un po’ troppo possessivo. Ora quella ragazza, invece della protezione e dell’ascolto che avrebbe dovuto avere, perché il diritto alla protezione e alla sicurezza dovrebbe essere una priorità in un paese civile, ha una sorella da piangere. Dietro alla frase del suo assassino, “mi ha lasciato, ho perso la testa”, c’è un ragazzo come tanti, non un mostro né un pazzo da poco uscito da un istituto. E c’è una terribile, tragica e intollerabile ennesima sconfitta. La sconfitta della protezione doverosa e dovuta a chi chiede aiuto, la sconfitta dell’educazione ai sentimenti e al rispetto. Molti e complessi sono i fattori che concorrono a muovere la mano di un femminicida, e uno di questi è la non sufficiente messa al bando, da parte degli adulti e delle agenzie educative (famiglia, scuola, media, opinion leader) della logica della legittimità da parte maschile del possesso e della supremazia del proprio bisogno su quello della compagna. Una ragazzina, durante un dibattito su questi temi, diceva con candore di essere cresciuta vedendo alla tv, e sui giornali, corpi di giovani donne, (quindi per traslato anche il suo corpo), perennemente utilizzato per vendere, e di non avere altro modello di riferimento. Seni, cosce, glutei, pezzi di carne di donna in mostra per vendere cose.

Si può rispettare una cosa? Che storia ci racconta, e che realtà partorisce la legittimazione della mercificazione del corpo femminile, laddove evidentemente autorizza il diritto maschile a pretendere che una donna in carne e ossa debba sempre dire sì, e mai possa sottrarsi, mai possa esercitare soggettività, mai si rifiuti?

Senza nulla togliere alla tremenda (ir)responsabilità di quel ragazzo assassino, non dobbiamo forse domandarci tutti e tutte noi, adulti: cosa ha (anche) contribuito ad armare la sua mano violenta?

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