il silenzio che uccide le donne
Il termine “femminicidio” non mi è mai piaciuto. Avendo, per deformazione professionale forse, una particolare attenzione verso l’uso delle parole, ho sempre pensato che questa definizione recasse con sé una vaga intenzione di svilimento, in quanto “femmine”, in quanto “vittime”, in quanto “deboli” e spostasse l’attenzione, paradossalmente, non su chi avesse compiuto il delitto ma su chi lo subiva: la femmina, appunto. Però ricordo di aver letto tempo fa un articolo di Barbara Spinelli in cui si faceva riferimento al termine usato dai criminologi americani, cioè “femicide”, per definire gli omicidi di genere, cioè tali perché hanno la donna/femmina vittima proprio per la sua peculiarità non riconosciuta e dominata in secoli di assoggettamento all’uomo. Per l’Fbi rientrano tra i “femicide” non soltanto gli omicidi di donne da parte dei partner o ex tali, ma anche di ragazze uccise dai padri perché rifiutano il matrimonio, di prostitute uccise dai clienti e persino di donne uccise dall’Aids perché contagiate a loro insaputa dai partner.
Io vorrei che anche nella nostra cultura il senso del termine fosse più ampio e, appunto, acquistasse una valenza “di genere”, includendo tutti i reati in cui l’essere donna è calpestato, discriminato, vessato dalle condotte misogine «maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale – di cui scrive l’antropologa messicana Marcela Lagarde – dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia». Come sempre accade, tutti i cambiamenti partono dall’istruzione, dalla conoscenza delle cose e dalla cultura, urge informazione nelle scuole prima che a casa. Via la burocrazia dalle denunce, il buonismo correo del “lascia perdere”, la paura delle ritorsioni. Via le demonizzazioni utili a scaricare responsabilità. La colpa di questo specifico terribile omicidio di Carmela Petrucci non è facebook, non è nemmeno la differenza di ceto di questo ragazzo disgraziato, la colpa è stata ed è sempre del “silenzio”. Il silenzio imposto fin da bambine, la paura di dire cose sbagliate, di non essere capite, di essere equivocate, di essere imbarazzanti, di essere giudicate colpevoli dello schiaffo che è scappato al marito, dell’attenzione del maniaco alle nostre scollature, colpevoli della provocazione in quanto peculiarmente donna.
Pare che i genitori di Carmela non sapessero nulla di Samuele. Nemmeno il fratello maggiore era a conoscenza di questa persecuzione. Del silenzio di Carmela siamo forse responsabili tutti noi: genitori, docenti, forze dell’ordine, amici forse. Ne è responsabile chi è stato giudicato da questa ragazza non idoneo ad ascoltare la sua angoscia, non comprensivo da accettare questo suo adolescenziale errore di valutazione, non attento a scorgere in lei una sicura irrequietezza, non autorizzato a valutare come si deve la sua denuncia. Carmela è una figlia che non ha voluto confidarsi con la sua famiglia, una studentessa che non ha fatto trapelare nulla ai suoi insegnanti, una giovane donna che non ha trovato appoggio nelle Istituzioni. Una vittima di “femminicidio” è soprattutto una donna che non ha parlato, che non ha chiesto aiuto. Io vorrei partecipare a un corteo ma non contro il femminicidio, bensì contro il silenzio!
Ma dov’è il colpevole in questo articolo? Dov’è l’assassino? Non lo trovo. C’è un giovane maschio responsabile di non saper accettare il rifiuto di una giovane donna. Non sa usarlo per cercare in se stesso cosa non vada o cosa non piace alla sua compagna. Perde un’opportunità e trasforma la sua rabbia in aggressione fisica, mortale, perché chi rifiuta deve morire. Lei non può rimanere lì a mettere in crisi il rifiutato che allora si scatena con ferocia e aggredisce chiunque gli si pari davanti. E’ il silenzio della giovane donna o la violenza pura di chi non sa accettare la propria inadeguatezza e non sa controllare le proprie emozioni? E’ la violenza, la prevaricazione, l’annullamento dell’altra o dell’altro come soggetto (in famiglia o a scuola, oppure nel lavoro, nelle relazioni affettive) L’argomento è di carattere globale e non parziale e non riguarda solo le “femmine”. Fermiamoci e iniziamo a scrivere nuove regole di convivenza. Queste non vanno assolutamente bene.
Condivido pienamente il commento di Ornella. L’articolo è fuorviante, invece di parlare del problema reale che non è femminile ma MASCHILE, sembra fermarsi alla parola “femminicidio” la cui messa in discussione può essere presa in considerazione ma non è certo questo il momento. Non è il silenzio della ragazza l’argomento, ma la violenza e la ferocia del ragazzo. E poi è bene dire che le sorelle erano state dai carabinieri i quali si sono limitati a “consigliare” alla ragazza di cambiare numero di cellulare. Non c’è stato silenzio, ma la denuncia anche se solo verbale..So di altri casi sottovalutati dalla polizia. Posso citare, senza far nomi, il caso di un’amica che ho accompagnato personalmente a denunciare uno stalker, ma la risatina dei poliziotti è stata fin troppo scandalosa, per giunta accompagnata dal commento: “ma se lei prima c’è stata e ora lo molla quello ha le sue ragioni..deve capirlo…”
Un articolo assurdo che addirittura colpevolizza le donne, offensivo per tutte le donne e per quante manifestano contro la mattanza e il femminicidio. Sono d’accordo con ornella e lucilla.
Mi spiace non essere stata compresa. La mia non voleva essere una voce urlata di critica verso la manifestazione, che rispetto sempre, men che mai l’enunciato di verità assoluta che non esiste, bensì una considerazione sottovoce su due aspetti, il primo soltanto semantico del termine usato per definire questi barbari delitti.
Non vedo deve si evince “la colpa” delle donne – addirittura! – continuo, rileggendo a non trovare alcuna frase che giustifichi l’accaduto. Anzi, ma forse può sfuggire a una lettura veloce e disattenta o addirittura pregiudizievole (perché considera erroneamente una voce leggermente fuori dal coro colpevole di favoreggiamento) scrivo che il termine femminicidio, usato nella sua interezza negli Stati Uniti, andrebbe esteso anche da noi in tutti quei casi in cui la donna diventa vittima di genere e non soltanto per i casi di “amore molesto”. Li ho elencati, rileggete se avete voglia.
Scrivo infine di silenzio, sì.
E anche questo è uno soltanto degli aspetti in questione. Non è la soluzione, chi mai potrebbe pensarlo?
Però lo ritengo importante perché le conseguenze del silenzio le ho vissute sulla mia pelle, sono state refertate al pronto soccorso con venti giorni di prognosi, non sono mai totalmente guarite, stanno alla base delle mie valutazioni negli incontri con l’altro sesso, mi fanno sobbalzare per una voce maschile fuor di decibel, sono ingrediente dei miei incubi notturni, sono infine e soprattutto argomento delle chiacchierate con i miei figli, giovani innamorati. Maschio di 22 anni e femmina di 19.
Non avrei forse voluto fare ricorso alla mia esperienza personale per addirittura giustificare l’espressione di un mio punto di vista che la cara amica Rosanna Pirajno ha giudicato, bontà sua, pubblicabile, ma le critiche, addirittura feroci e offensive, fin qui lette, mi vedono pronta a spiegarmi meglio e, ancora una volta, a infrangere l’ostacolo, lo scrivo ancora, lo sosterrò sempre, che non ci permette totalmente, per paura, diseducazione, solitudine, tabù di salvarci la vita.
Grazie per la possibilità di replica.
Mi sorprendono sempre i commenti tutti d’un pezzo, soprattutto quando provengono dalle donne in teoria avvezze alle sfaccettature dialettiche del pensiero femminile. Il punto di vista di Marina aveva bisogno di una lettura più meditata, per cogliere nel ragionamento aspetti – o forse addirittura ferite – semmai da chiarire e non da stigmatizzare senza appello.
Le donne sappiamo essere crudeli, a volte.
Bellissimo pezzo. Bellissimo e intelligente spunto di riflessione. La riflessione su una “condizione femmnile” che non appare superata nonostante l’Età moderna, il XXI secolo, il bombardamento mediatico di informazioni e notizie.
Il colpevole? Tutti. La Società. Chiunque abbandoni, consapevolmente o meno, la vittima al carnefice del Silenzio, della solitudine, per quella insita ritrosìa delle donne a manifestare un disagio, e che diventa sintomo della Paura di poter sembrare deboli o, peggio, INADEGUATE.
E’ il punto di vista delle donne che ci interessa, non quello di un maschio BRUTO che nella forza fisica della sopraffazione trova l’unico modo per dimostrare la sua capacità virile.