grandi piccole donne a teatro

28 novembre 2012 di: Clara Margani

Nel panorama teatrale romano spiccano in questo periodo due one women show che hanno molti punti in comune. Non si svolgono in grandi teatri ma in due piccoli spazi, anche se famosi, come lo Spazio Uno a vicolo dei Panieri e l’Argot Studio di via Natale del Grande, entrambi a Trastevere. In secondo luogo trattano un tema simile: la crescita fisica e psicologica di due donne a cui è stato riservato un tragico destino. Terzo elemento gli spettacoli sono affidati a due attrici molto giovani e poco conosciute, che nonostante il loro fisico minuto riempiono tutta la scena e con naturalezza incarnano due esseri femminili sofferenti, spezzati, martoriati.

Lo spettacolo di Spazio Uno si intitola “Mi chiamo Rachel Corrie” ed è tratto dai diari e dalle lettere di una ragazza statunitense, attivista dell’International Solidarity Movement, diventata un’icona del pacifismo dopo la sua morte avvenuta nel 2003 mentre si opponeva all’abbattimento di alcune case palestinesi a Rafah da parte di un bulldozer israeliano. Rachel ci racconta della sua infanzia di bambina qualunque, ma dotata di grande capacità di giudizio nei confronti della realtà; dai suoi scritti emerge un ardente desiderio di riuscire a cambiare il mondo. Poi il tono cambia quando sul palcoscenico l’attrice srotola e abita un’enorme mappa della Palestina e il suo entusiasmo deve confrontarsi con una tragica realtà.

Nell’altro spettacolo dal titolo “L’odore del mondo”, tratto da un articolo di Concita De Gregorio, comparso qualche tempo fa sul supplemento D del quotidiano La Repubblica, si racconta l’esperienza di Irina, una donna moldava, la cui infanzia povera è popolata da sogni ingenui di ricchezza e felicità e a cui all’età di dodici anni, proprio il giorno del suo compleanno, capita di essere venduta dalla famiglia a degli uomini che la costringono a prostituirsi per circa dieci anni; poi, poiché era stata sfregiata da un cliente e si era inflitta da sola delle ferite per perdere valore di mercato, viene abbandonata in piena campagna; più tardi faticosamente riuscirà a tornare a casa dove ritroverà i fratelli e incomincerà una nuova vita.

Alla stessa età in cui Rachel muore Irina risorge e riprende la vita nelle sue mani; è come se idealmente le due donne si passassero il testimone.

Cristina Spina come Rachel e Gisella Szaniszlò come Irina, ci offrono la loro interpretazione su una scena nuda che si anima con pochi oggetti e in cui atmosfere e luoghi sono ricreati da raffinati giochi di luce; si trasformano a vista da bambine a donne, lasciano il segno della loro femminilità nella femminilità dei personaggi e ci commuovono profondamente. Ci inviano con forza un messaggio che è contenuto nelle parole della donna moldava, che Concita De Gregorio riporta all’inizio del suo articolo: «Quello che vi chiedo è di ascoltare la mia storia perché potrebbe essere la vostra. Non voglio compassione né pietà né aiuto: non mi servono, non servono a nessuno. Non serve niente dopo, serve prima».

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