Il poliziotto e il ragazzino

18 novembre 2012 di: Barbara Giordano

E dilaga la moda del confronto tra il poliziotto e il ragazzino.
Pasolini disse una cosa, un giorno, e non ce ne siamo liberati più. Ne ha dette tante altre, ma quelle fa comodo dimenticarsele.
Io davvero non riesco a capire come si possa paragonare, e dargli pure ragione, un uomo protetto e armato con un ragazzino che cerca di proteggersi con un caschetto e degli scudi di cartone.
Io vorrei sapere se quell’uomo, quando a casa suo figlio fa qualcosa che non gli va, prende un bastone, chiama tre o quattro amici perché lo aiutino, lo immobilizza a terra e giù manganellate. Sulla nuca, sulla testa. O ancora, io vorrei sapere, cosa farebbe quell’uomo a chi si azzardasse a trattare suo figlio così.

Siamo di fronte all’obnubilamento della ragione, dei diritti umani, della legalità e del buon senso.

Povero poliziotto, è anche lui un lavoratore, fa quello che deve.

Quello che deve è sfogare la propria rabbia su ragazzini in fuga, insultandoli,  rincorrendoli, acchiappandoli e picchiandoli selvaggiamente? Sono loro il nemico?

I ragazzi non sempre hanno tutte le ragioni: a volte sono mossi da rabbia e frustrazione senza analisi né vera consapevolezza, a volte solo dalla voglia di disobbedire, a volte si lasciano andare ad una voglia di provocare, di “rompere” che avrebbe invece bisogno di calma e di analisi, di razionalità. In ogni caso, però, la soluzione non è di certo una repressione selvaggia e indiscriminata anche perché nelle manifestazioni raramente compaiono mazze o molotov, e in quel caso è comunque spesso facile isolare i violenti. Non viene fatto, e si picchia a caso.

Abbiamo assistito troppe volte a violenze che arrivano alla tortura e all’omicidio, inutile ricordare Genova, troppe volte per continuare a dire che fanno il loro dovere.

Vanno ben oltre il loro dovere. E anche del loro dovere forse sarebbe il caso di parlarne.

Formigli, il 16 sera su La7, ha intervistato uno di loro che, alla domanda se a volte non si fosse lasciato andare anche lui alla rabbia, ha risposto candidamente che certo, tutto il giorno in piedi, sotto il sole… la mente si annebbia.

Bene, poliziotto, se si annebbia, parli con chi di dovere e gli dici che non è un lavoro dignitoso stare per strada a lasciar montare la rabbia per sfogarla su gente inerme.

La mattina del 16, a Palermo, le cariche sono partite per impedire che i ragazzi raggiungessero la Biblioteca regionale dove chiacchieravano tranquillamente Schifani, Crocetta e tanti altri.

Il dovere di un rappresentante del popolo dovrebbe essere di ascoltare il suo popolo che ha qualcosa da dire, non di manganellarlo perché neppure si avvicini.

Smettiamola, dunque, con il buonismo e il qualunquismo secondo cui ognuno ha la sua parte di ragione. Basta guardare con gli occhi aperti.

1 commento su questo articolo:

  1. Stefania Savoia scrive:

    A mio parere la condanna della violenza deve essere sempre forte e decisa perchè la violenza grida e non si capisce che cosa vuole dire.A mio parere sono sempre la non violenza, il coraggio delle parole e la democrazia ad avere in mano il cambiamento.Quello che rimane, dopo manifestazioni violente, è sempre sangue da ogni parte e non ha senso precisare da chi provenga:è sangue, dolore e violenza e mai parole, mai confronto, mai dialogo.Mi ha addolorato leggere e vedere le immagini delle ultime manifestazioni perchè so che non porteranno a niente, mi ha addolorato vedere che dopo tanti anni ancora non si è andati avanti, che non si propongono modi di contestare che possano veramente portare a qualcosa.Non si è capito per cosa contestassero gli studenti e a cosa reagissero le forze dell’ordine, ma si cade sempre nella stessa polemica.

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