PICCOLE DONNE 2.0
Quattro ragazze a New York. E subito, anche chi non l’ha mai visto, pensa a Sex & the City, evocato con ironia anche nel pilot di Girls grazie alla locandina della versione filmica che incombe su una parete. La serie ideata dalla protagonista Lena Dunham – che ne è anche sceneggiatrice, produttrice e spesso regista – è però priva di donne in carriera fanatiche di scarpe dai prezzi imbarazzanti. Anzi, non ci sono neanche propriamente donne, ma delle ventenni che inciampano in esistenze piene di buche, errori, incidenti di percorso. Come ogni ventenne, ovviamente. E sempre ovviamente, dato che si tratta di una serie TV, i personaggi sono molto tipizzati: Hannah, l’intellettuale sovrappeso che non riesce a trovare lavoro (uno pagato, quantomeno), Marnie (miss perfezione, che però manca di verità e lucidità nella sua vita sentimentale), Jessa (l’europea bohémienne dalla sessualità disinvolta) e Shoshanna (la ragazza americana purosangue, vergine che sfoga la sua purezza su abbigliamento e televisione). Qualche uomo si inserisce a mo’ di satellite in questo quartetto, ma sempre in modo molto precario, malgrado gli stessi equilibri tra le quattro siano molto delicati.
Un altro pregio della serie è quello di offrire paesaggi niente affatto patinati: sprazzi di Brooklyn, appartamenti micragnosi, feste in ex-magazzini. Luoghi che fanno da scena a solenni ubriacature, sconvolgimenti da droghe, rapporti sessuali spesso goffi o umilianti – a loro volta origine di frigidità, malattie sessualmente trasmissibili, potenziali gravidanze e altrettanto potenziali aborti. Pare infatti che il corpo gestito con tanta libertà sia un oggetto estraneo, sconosciuto, in balia di forze esterne e malevole.
“Non sei adulto se i tuoi genitori ti pagano il Blackberry”, dice Ray, una delle controparti maschili. Cosa significa crescere, essere adulti? È una delle domande che ricorrono più spesso nei dieci episodi della serie, perché i parametri classici della coppia, del lavoro e della stabilità residenziale sono ormai spariti. Ed è così che queste ragazze confuse e un po’ smarrite ci sembrano più vicine di quattro donne supereleganti il cui dio è Manolo Blahnik.