nessun senso di colpa per il degrado politico

14 dicembre 2012 di: Stefano Piazza

Ogni volta che vengono fuori degradanti vicende che riguardano la cosa pubblica, lo Stato e la sua gestione, nella gente che non si riconosce in tali fenomeni si fa strada uno strisciante ma pungente senso di colpa, nell’angoscia di poter essere, o essere considerata, complice dello schifo. Già, perché il silenzio e la mancata protesta è forse la forma più efficace di complicità, come sa bene la criminalità organizzata. Sono momenti in cui si sente spesso dire: “ma noi dov’eravamo? tutti tacciono? ce lo meritiamo perché non protestiamo”, e ancora “perché non si scende in piazza, perché non si urla adesso basta e si cacciano tutti da quelle maledette poltrone”.

Non si fa perché, semplicemente, la gente non lo può fare. La gente è fatta da singole persone, o al massimo da microscopici gruppi. La gente è la casalinga, il salumiere, l’operaio, l’insegnante, il portiere, l’architetto, l’ingegnere, il disoccupato. La gente, insomma, è una moltitudine di singoli individui. Cosa possiamo fare? chiamare i nostri amici e scendere in piazza per improvvisare una manifestazione? Non funziona così, non ha mai funzionato così, tranne che nei momenti di totale e generalizzato tormento. Ma noi non siamo in uno di questi tragici momenti della storia dell’uomo, non ancora. La gente può agire solo se organizzata, guidata, dotata di strumenti di azione collettiva e, soprattutto, di solidi e capaci rappresentanti. In un sistema democratico la gente agisce attraverso i propri rappresentati politici a cui la gente, appunto, impegnata nel proprio lavoro e nei propri drammi, ha demandato il compito di vigilare sulla cosa e sul bene comune.

Non provo sensi di colpa perché non scendo in piazza ogni giorno a urlare, ma provo una irrefrenabile rabbia per il tradimento dei nostri rappresentanti. Gli esempi eclatanti non mancano: nel 1993 il 90% dei votanti (della gente insomma) si espresse contro il finanziamento pubblico ai partiti, ma i nostri rappresentanti ci tradirono clamorosamente limitandosi a cambiare nome alle cose. E come chiamare, se non tradimento, il fatto che tra il 1996 e il 2000, sotto i governi Prodi e d’Alema, in ben quattro anni, non si è riusciti a fare uno straccio di legge sul conflitto d’interesse? Certo, tradimenti del passato, si potrebbe dire, ma il presente non mi sembra migliore. Il presente sono “statisti” del calibro di Scilipoti e De Gregorio, fatti accomodare nelle sontuose poltrone del parlamento da Italia dei Valori, baluardo della legalità e dell’etica finito come sappiamo. Il presente sono gli scandali sui rimborsi elettorali, e quali eclatanti iniziative sta prendendo il Pd? Bersani ha assicurato che da ora in poi rendiconteranno? Certo, non è immaginabile nulla di più incisivo e convincente. Il presente è la legge elettorale del 2005 che ha trasformato il parlamento in un covo di designati e la nostra democrazia in una oligarchia elettiva, una legge che tutti criticano ma che nessuno tocca.

E intanto sempre più indignati preferiscono un comico come Grillo a un logorato politico come D’Alema. L’antipolitica si fa strada non a causa della cattiva politica, ma a causa dell’assenza di quella buona. Non dobbiamo avere sensi di colpa perché ci indigniamo troppo poco, ma dobbiamo seriamente preoccuparci perché la nostra indignazione non trova degni rappresentanti. Ma, in fondo, perché preoccuparsi: mentre sul fronte della sinistra divisioni e indecisioni dominano, dando spazio anche alle ammirevoli sperimentazioni sulla scissione dell’atomo portate avanti da Di Liberto e Ferrero, grandi manovre muovono verso il centro. Vuoi vedere che, ancora una volta, l’Italia sarà “salvata” dalla vecchia democrazia cristiana, questa volta, però, sono sicuro, con un nome totalmente nuovo. E intanto la maschera di Berlusconi dà colpi a destra a sinistra, molti a vuoto ma mai sulla sua testa, per abbattersi da solo definitivamente.

5 commenti su questo articolo:

  1. lucianaealtre scrive:

    Stefano piazza l’attore o il bel professore di architettura molto serio ed elegante detto il bello della facoltà, comunque anche l’attore non è male ed in ogni caso l’articolo è ottimo.

    • Stefano piazza scrive:

      … Ops .. Il professore,
      mi rammarico che nella facolta di architettura sia cosi’ poco diffuso il senso estetico

  2. Altreancora scrive:

    Approfittiamo di un terreno neutro per dire al docente che è sì noto per il suo fascino in quanto a severità e a far venire sensi di colpa però non lo batte nessuno, questo articolo un po’ lo umanizza.

  3. Micol scrive:

    quello che mi ha colpito in questo articolo, prescindendo dalle gare di bellezza alla facoltà di architettura, è il fatto che c’è qualcuno e forse siamo in tanti che di fronte alle nefandezze della politica si chiedono ancora cosa potevamo fare? Ebbene ha ragione piazza non tocca a noi fare la rivoluzione ma dare l’assenso è un’infamia e noi l’assenso l’abbiamo dato!

  4. Professore, lei è bello ma molto severo, in questo articolo è un moderato di buon senso, mi piace molto più della sua chioma bianca.

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