i vantaggi del caso

30 gennaio 2013 di: Rossella Caleca

E se, invece di essere eletti, senatori e deputati fossero estratti a sorte? Non è una battuta, anche se ciò a cui abbiamo assistito in questi giorni per la definizione delle liste dei candidati al Parlamento sta tra la guerra e la farsa, tra risse a destra, malumori a sinistra e scene da film di cappa e spada con misteri, pugnali e duelli all’ultimo sangue. No, si tratta invece di una proposta seria, scaturita da un serissimo studio basato sull’analisi dei sistemi complessi, realizzato da un gruppo di fisici, sociologi ed economisti, e presentato con un articolo sull’autorevole rivista “Le Scienze”.

Gli autori hanno mostrato che i processi basati sul caso, fondamentali in tanti problemi fisici e nell’evoluzione naturale, sono utili anche in campo socio-economico tramite strategie che prevedono scelte casuali, applicabili anche alla politica e alla democrazia rappresentativa. Hanno costruito un modello, simulando un ipotetico Parlamento con due schieramenti o coalizioni politiche (maggioranza e opposizione) in cui vengono inseriti un certo numero (da calcolare secondo una formula che tiene conto, in base ai risultati delle elezioni, delle proporzioni tra i due schieramenti) di cittadini estratti a sorte, ritenuti indipendenti dai partiti.

Considerato che ciascun parlamentare, nell’approvare o meno le proposte di legge, può basarsi fondamentalmente sul proprio giudizio personale, oppure adeguarsi alla “disciplina di partito”, gli studiosi ritengono che, laddove la “disciplina di partito” prevale, è più probabile che siano approvate proposte lontane dai reali interessi dei cittadini e dalla realizzazione di vantaggi collettivi. Sicché questo Parlamento virtuale raggiungerebbe il massimo dell’efficienza, in termini di leggi approvate per il benessere collettivo, con l’inserimento di un numero ottimale di parlamentari estratti a sorte, indipendenti dai partiti. Questo potrebbe avvenire mediante un pubblico sorteggio tra i cittadini che vogliono candidarsi, iscritti in elenchi, come, ad esempio, per la composizione delle giurie popolari dei processi.

Gli autori si rifanno ad illustri precedenti: ad Atene, i membri dell’assemblea deputata a prendere le decisioni (bulè ) erano sorteggiati e non eletti; altri esempi si ritrovano nell’Italia dei Comuni e nella Repubblica di Venezia. Le obiezioni, ovviamente, possono essere moltissime, cominciando dal rilevare la differenza tra la democrazia degli antichi (ad Atene non votavano le donne, i meteci, gli schiavi, il numero dei cittadini era limitato) e la complessità della democrazia rappresentativa moderna; possono sorgere dubbi sulla reale indipendenza dei sorteggiati (quanto durerebbe?) Eppure… dopo anni di designazioni vergognose, di baratti e compravendite, con un ineluttabile Porcellum a tradizione resistente, con guru dell’antipolitica più settari di quelli che criticano, volete mettere la soddisfazione di stabilire per i sorteggiabili requisiti minimi, come per esempio l’essere incensurati? E, tanto per fare un esempio, tra un cittadino qualsiasi e Scilipoti, chi votereste?

5 commenti su questo articolo:

  1. rita scrive:

    e se il cittadino qualsiasi, incensurato e di bel’aspetto, avesse occulti legami con massoni e/o camorristi?

    • rossella caleca scrive:

      Non si può escludere, ma è molto improbabile perchè gli “estratti” sarebbero sorteggiati tra decine o centinaia di migliaia di cittadini. Tutto questo, ovviamente, in linea teorica…

  2. Giuseppe scrive:

    E se il cittadino, semplicemente, non fosse migliore dei politici?
    Il problema che non viene quasi mai preso in considerazione quando si parla di democrazia è che gli ateniesi (quelli tra loro, cioè, che potevano partecipare attivamente alla vita politica), quando si discuteva di un argomento che interessava la collettività sapevano tutti di cosa si stesse parlando, che fosse la costruzione di nuove navi o la condotta dello stratega… oggi non solo i cittadini (?) sono lontanissimi dall’avere la competenza per valutare le questioni, che so, energetiche, e questo tutto sommato sarebbe accettabile, in fondo ci sono gli esperti, e la democrazia rappresentativa servirebbe a questo, no? Ma il peggio è che i cittadini (ri-?) italiani sono anche lontanissimi da un minimo di cultura politico-istituzionale e di educazione alla vita civica, nella loro maggioranza. Il distacco è tale che se pure venissero sorteggiati 945 parlamentari tra i comuni cittadini, probabilmente solo una ristretta minoranza cercherebbe l’interesse del Paese, mentre il resto si impegnerebbe piuttosto a scambiarsi favori a vicenda per i propri interessi particolari.
    Certo un grande vantaggio ci sarebbe, si eliminerebbe la spesa (e la rottura di zebedei) della campagna elettorale…

    p.s. Chi sono gli studiosi? L’articolo è anche online?

  3. ornella papitto scrive:

    Il calcolo delle probabilità consente di ottenere sicuramente la rappresentatività dei cittadini italiani.
    Il problema è serio. Il nodo è tra la “cattiva” politica, quella dei nostri giorni e la “buona” politica, quella che dobbiamo assolutamente affermare.
    Questo aspetto come può essere attenzionato dalla statistica? Il caso come potrà individuare il cittadino, anche libero dal partito, che voglia garantire l’onestà, la trasparenza delle proprie azioni, l’attenzione al bene comune? Ossia la buona politica?

  4. rossella caleca scrive:

    Vi ringrazio per i commenti, che colgono tutti il punto dolente, la questione irrisolta che quegli studiosi hanno considerato legata ai rapporti tra indipendenza, efficienza e vantaggio collettivo: la necessità imprescindibile dell’affermazione dell’etica nella politica; la volontà e la capacità, quindi, dei rappresentanti dei cittadini di perseguire autenticamente il bene comune. In particolare la domanda di Giuseppe mi dà l’occasione di rimediare a una dimenticanza: gli autori della ricerca sono docenti e ricercatori del’Università di Catania; lo studio è stato pubblicato nel 2012 col titolo “Democrazia a sorte” (Caserta M.,GarofaloC.,Pluchino A.,Rapisarda A.,Spagano A., Casa Editrice Malcor D’Edizione, Catania); l’articolo che ho letto, degli stessi autori, è sul numero 533, Gennaio 2013, di “Le Scienze” (www.lescienze.it).

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