a me “vittima” non lo dici

11 febbraio 2013 di: Michela Murgia

In attesa di trovarci tutte/i quante/i il 14 febbraio alle 16 in punto a piazza Verdi, davanti il Teatro Massimo di Palermo, per partecipare all’evento mondiale del One Billion Rising, riprendiamo dal suo blog quanto Michela Murgia ha da dirci.

“C’è un esempio riuscitissimo di come si fa la comunicazione della non violenza alle donne. Guardate la campagna di sensibilizzazione all’evento One Billion Rising, e scegliete la piazza più vicina a voi per partecipare al momento in cui le donne sorgono, si rialzano, diventando protagoniste della loro liberazione. Sono entrata spesso in polemica con pubblicitari e enti istituzionali benintenzionati che cercavano di fare comunicazione contro la violenza alle donne e riuscivano a ottenere esattamente il contrario dell’effetto cercato. Si è sempre trattato di manifesti, spot e slogan che, pur con l’intenzione di combatterla, di fatto confermavano l’estetica della donna come creatura fragile e simbolica, inerme vittima da salvare oppure incarnazione di valori universali che prescindevano dalla sua persona. Le frasi sono sempre le stesse. Chi stupra una donna non stupra lei, ma stupra la culla stessa della vita.

Chi offende una donna non offende una persona, ma offende il mondo. Chi ferisce una donna non ferisce quella donna, ma in lei ferisce la propria madre, la propria sorella, la propria figlia. Le donne vanno protette, amate, se necessario salvate, non perché persone portatrici dello stesso diritto al rispetto degli uomini, ma perché espressione di un sistema simbolico che pesa loro tutto addosso e di cui di conseguenza sono considerate responsabili. Custodi di questo valore, sacerdotesse di quello, scrigni di quell’altro, le donne non sono mai solo persone. Che questo equivoco sia la base, e non la negazione, delle violenze e degli abusi è un concetto che ancora fatica molto a passare, persino nelle teste di chi la lotta contro la violenza la fa operativamente ogni giorno. Eppure c’è un esempio riuscitissimo di come si fa la comunicazione della non violenza alle donne. Guardate la campagna di sensibilizzazione all’evento One Billion Rising, il progetto internazionale contro la violenza, lo stupro e gli abusi sulle donne.

Circolano tre video di fattura eccellente che dovrebbero essere studiati nelle scuole di comunicazione per vedere come si fa una battaglia di concetto senza confermare l’idea che si vuole disinnescare. Il primo video è un corto di 3 minuti che non immagino quanto possa essere costato, ma di straordinaria efficacia. Ci sono donne di ogni parte del mondo sottoposte a violenze fisiche, molestie, sfruttamento e abuso. La raffigurazione della tragedia universale delle donne viene scossa da un ritmo crescente che parte dalla terra stessa e fa tremare i loro piedi, i piedi dei loro abusatori, le travi delle case, le fondamenta dei luoghi di lavoro e l’anima di chi guarda. Il ritmo non è la cavalleria che arriva, non sono gli zoccoli dei salvatori sui destrieri bianchi. E’ il coraggio delle donne che interrompe la sequenza di violenza. E’ la loro determinazione, la loro forza e la loro presa di consapevolezza. Il ritmo diventa ballo e il ballo diventa liberazione, perché solo chi è senza catene può danzare e riprendersi corpo, respiro, dignità. Il gesto del braccio alzato è fortissimo. Dice: sono io, sono qui, presente e soggetto della mia vita. Non mi farete più niente che io non voglia e il 14 febbraio mi vedrete in piazza per dirlo a tutti. Il secondo video è la canzone ufficiale dell’evento, intitolata significativamente Break the chain, dove lo stesso concetto di presa in carico del proprio destino è ancora una volta raffigurato dal gesto del ballo, liberatorio e energetico. La danza rompe le regole, dice il testo, ed è vero: rompe anche quelle della comunicazione che vorrebbe le donne vittime piangenti su sé stesse, esseri autocommiseranti e fragili incapaci di invertire la propria storia se non interviene una forza esterna. La canzone è la base musicale del grande flash mob che si sta preparando per il 14 febbraio.

Il terzo video è una canzone aggiuntiva che fa parte del materiale di supporto al concetto centrale, cioè che le donne sono libere, non liberate o liberabili. In questa canzone a cantare è un uomo e nel video sono presenti anche uomini, a differenza che negli altri due. Non sono uomini violenti, ma uomini che si riconoscono nello spirito del One Billion Rising e che lo interpretano testualmente per quello che è: rising, cioè il momento in cui le donne sorgono, si rialzano, diventando protagoniste della loro liberazione. E’ un invito a ballare anche per loro, i maschi, insieme alle donne contro ogni violenza. Guardateli, guardate il sito, e poi cercate la piazza più vicina a voi dove andare a ballare, donne e uomini, il 14 febbraio 2013. In Sardegna ci stiamo preparando. Manca poco”.

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