con sindrome down, niente cittadinanza
Non so immaginare come sarebbe stata la vita di Cristian, se il padre l’avesse riconosciuto anziché consigliare alla madre: “che ti tieni a fà sta croce, mettilo in istituto…”. Sono sicura che la sua vita non sarebbe stata migliore di quella che ha condotto finora grazie all’amore di mamma Gloria, anche se in quel modo gli sarebbe stato risparmiato di imbattersi nel problema della cittadinanza, perché “grazie” al padre italiano sarebbe stato, a tutti gli effetti, un cittadino italiano. In Colombia, paese d’origine della madre, non sanno che esiste. In Italia, quando la signora Gloria Ramos si è presentata all’anagrafe è stata respinta in malo modo e gli addetti comunali le hanno riferito che suo figlio “non poteva essere registrato come cittadino italiano perché affetto dalla sindrome di down”.
Cristian Ramos, ha preso il cognome della madre, vive in Italia da quando è nato, suona, nuota bene, gioca a calcetto e con i suoi tempi ha preso anche la licenza media. Se anche non avesse avuto tutte queste splendide capacità, sarebbe stato comunque una persona socievole e buona, ingenua e affettuosa, capace di grande amore, come sono tutte le persone nella sua condizione. E’ sicuramente cresciuto bene, con una mamma che ha dovuto compensare il senso di abbandono di entrambi, pronta a lottare contro discriminazioni di razza e di salute e che avrebbe diritto, anche solo per tutto questo, di dare al figlio, nato e cresciuto a Roma, 18 anni compiuti, un documento d’identità e la cittadinanza italiana. Il nodo del problema sta nel giuramento, passaggio imprescindibile quando si vuole ottenere la cittadinanza; chi ha una qualunque disabilità mentale viene considerato incapace di intendere e di volere e, dunque, di chiedere in modo consapevole di diventare cittadino italiano.
Per fortuna non è vero. È illegale, anzi. L’Italia ha ratificato con la legge n.18 del 2009 la Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, che obbliga gli Stati firmatari a riconoscere alle persone disabili la libertà di movimento, il diritto di scegliere la propria residenza e anche quello di cambiare cittadinanza. Grazie a questa argomentazione, in tribunale, sarà finalmente riconosciuto un diritto fondamentale per chi si ritrova a vivere in un Paese dove origine straniera e disabilità sono ostacoli insormontabili. Non oso nemmeno immaginare, come si sia sentita mamma Gloria davanti al diniego; non sapeva, come molti di noi, di vivere in uno Stato che si arroga il diritto di negare, per incompetenza, la cittadinanza ad un immigrato perché affetto da sindrome di down.
Fa male sentirlo dire, figuriamoci viverlo come madre sulla propria pelle e su quella del proprio figlio! Che Cristian sia definito da qualche burocrate sic et simpliciter “incapace di intendere e volere” e poi abbia conseguito il diploma di scuola media mi sembra una contraddizione in termini bella e buona. Tanti ragazzi come lui esprimono una propria affettività, hanno buoni rapporti sociali e possono persino lavorare da..Mc Donald! A Cristian non viene riconosciuta la cittadinanza italiana, ad altri 25 mila cittadini italiani affetti dalla stessa sindrome viene di fatto ancora negato il diritto al voto. Quanti pregiudizi da superare!
“Se anche non avesse avuto tutte queste splendide capacità, sarebbe stato comunque una persona socievole e buona, ingenua e affettuosa, capace di grande amore, come sono tutte le persone nella sua condizione. E’ sicuramente cresciuto bene, con una mamma che ha dovuto compensare il senso di abbandono di entrambi, pronta a lottare contro discriminazioni di razza e di salute.” Cara Daria, riprendo il discorso da questo passo del tuo articolo, pieno di umanità e di una profonda coscienza civile. Non fai alcun accenno al fatto che Cristian potesse essere diagnosticato come un difetto di natura che un’Ivg avrebbe potuto correggere. Parli invece del coraggio di una madre, lasciata sola contro tutto e tutti, come avevi già parlato in precedenza della rabbia e del dolore delle giovani indiane. Eppure, con dispiacere e senza capirne il motivo, noto ancora una volta come da questi temi non scaturisce quel confronto di idee che meriterebbero di avere. Riguardo poi al diritto al voto, argomento su cui mi sono documentata ultimamente, da un punto di vista legislativo le persone con sindrome di Down ed altre disabilità intellettive, con la maggiore età acquisiscono stessi diritti e doveri di tutti gli altri cittadini, compreso il voto. Devono entrare da sole in cabina elettorale, senza ricorrere al “voto assistito” (previsto in caso di cecità o inabilità fisica degli arti superiori). Eppure la maggior parte di loro rinuncia al voto, o di fatto non è messa in condizione di esprimerlo. Per questo motivo è stata promossa una campagna di sensibilizzazione che invita i partiti a “tradurre” i loro programmi con parole chiare e semplici, cioè in “alta comprensibilità” seguendo le regole dell’easy reading condivise a livello internazionale. Sono impegnate in questa campagna “il mio voto conta” sia l’Associazione italiana persone down che la Asl Roma E.