Il martirio di Lea Garofalo: un orrore della ‘ndrangheta

23 marzo 2013 di: mezzocielo

Se ci fosse una graduatoria degli orrori compiuti dalle mafie (da Cosa nostra alla camorra alla ’ndrangheta), l’uccisione di Lea Garofalo andrebbe collocata al primo posto, forse a fianco a quella del piccolo Di Matteo. Lea Garofalo, che tentava da tempo di denunciare i delitti dalla ‘drangheta, viene rapita a Milano il 24 novembre del 2009. Chi l’attira nel gorgo della morte è il suo ex-compagno, padre della figlia Denise, con cui la donna si è accompagnata pochi minuti prima.  L’uomo, Carlo Cosco,  la porta in un appartamento  e, aiutato dal fratello Vito, la strangola: con una corda di tenda. Quindi chiama un gruppo di amici, e con loro mette il cadavere in uno scatolone,  sigillandolo  con nastro adesivo; con la macchina raggiungono un magazzino vicino Monza. Qui, con lunga operazione, bruciano il corpo dentro un grosso fusto di metallo,versando benzina, e schiacciandolo reiteratamente con una pala, aggiungendovi via via pezzi di legno perché il cadavere stenta a disintegrarsi.  A un certo punto lo tirano fuori dal bidone, raccolgono i pezzi, e lo rimettono a bruciare con altra benzina fino a che si distrugge  totalmente. Chi fa il racconto dettagliato dei fatti è Carlo Venturino, co-autore del massacro, già condannato all’ergastolo per altri delitti. All’epoca aveva 26 anni, ed era stato “fidanzato” della figlia della donna e del suo assassino: Denise.

Dichiara Roberto d’Ippolito, avvocato della sorella di Lea, Marisa Garofalo, la cui figlia è stata anch’essa minacciata di morte: “Ai clan fa paura il coraggio che le donne stanno dimostrando oggi in Calabria. La loro è una rivoluzione su decenni di omertà”.

(dall’articolo di Sandro De Riccardis, Repubblica, 20 marzo u.s.)

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