nostalgia in forma geometrica
«Nostalgia di quando la speranza aveva un senso logico, proiettata com’era sul futuro: ora invece cammina all’indietro come un gambero e, per quanto si speri, non si trova mai niente di diverso dalle cose accadute» (pag 105). Dorotea si suicida tagliandosi le vene nel bagno di casa sua a Catania. Ha 25 anni. Tutto il libro “Cuore cavo” di Viola Di Grado ed. e/o, 2013, è la storia del suo dopo-morte, del suo attaccamento alla vita che scopre solo adesso, vita che si è fermata ai suoi 25 anni. Di lei rimane solo la morte “sua” allo specchio di una tentata oggettività e geometria – per dare un senso a cose che non l’hanno mai avuto – e anche a un altro specchio: la madre a cui resta infantilmente legata per tutte le pagine del libro.
Perché –mi chiedo- questo libro mi ha tanto colpito? Non per la sua nauseante descrizione della decomposizione del corpo o delle lucide analisi delle nostre aspettative in vita nullificate in morte. E nemmeno per la novità: in ogni secolo purtroppo si sono suicidate donne di 25 anni. Il motivo è che oggi una ragazza scriva (cioè grida al mondo la sua essenzialità) dell’impossibilità di immaginare un riflesso sulla sua vita futura: non voglia crescere e lo ripete fino alla nausea. Questo si, mi colpisce profondamente. Così in una delle tante pagine in cui torna questa impossibilità a desiderare la crescita, a desiderare il futuro: «Piangevo con gli occhi strizzati. Dicevo”Voglio la mamma” come una bambina abbandonata, ma ero io ad avere abbandonato mia madre». Oppure ancora: «Il passato è un diamante che usiamo ogni giorno!» Questo, come tutto il resto, Viola Di Grado lo dice nello spazio del dopo-morta in cui, proprio perché è riuscita a superare l’ostacolo del futuro, si conferma figlia e giovane in eterno. Si, il suo corpo può anche marcire – come è detto in quasi ogni pagina – ma lei non può più invecchiare!
A questo punto, leggendo, sono io che piango e che grido arrabbiata: Perché non volete crescere? Perché sognate la maturità ma non riuscite a raggiungerla? Vorrei dire a Viola Di Grado e a tutte le venticinquenni: come nelle favole devi superare le prove. Le prove che ognuno dà a se stessa con l’intelligenza, i sentimenti, lo spirito critico. Certo si ha paura di perdere, non ritrovarsi. E tutto questo stanca, invecchia, fa venire le rughe. Ma le prove che ognuno si dà (pur sapendosi vivere all’interno di una ipotesi) sono i tasselli del proprio destino che si tesse con i propri desideri, man mano che sei viva. Anche se alla fine della giornata fai un utile esercizio di distacco dagli stessi desideri.
Allora perché non volete crescere? Domando ancora. Perché questo terrore della libertà? E la risposta – dannazione – potrebbe ancora essere: «Perché non ci aspetta un futuro da adulti». Cosa posso rispondere? Cosa possiamo rispondere a una donna che dice di un feto: «Era migliore di me perché non era mai stato umano» (pag 121). E nel gioco a chi la spara più grossa dice: «Io faccio un figlio!». Alla giovane donna- ormai morta- non resta che aspettare. Aspetta insieme agli altri morti (tutti giovani come lei). Aspetta perché “il tempo si è rotto”. Con il dolore di non aver saputo crescere.