pensieri di marzo

12 marzo 2013 di: Daria D’Angelo

Nell’appena trascorso 8 marzo, ho pensato a tante donne meravigliose. Ho pensato, con grande affetto, a una donna che non è più con noi, e a un brano del suo ultimo, bellissimo, libro: “Una vita, quasi due“. A pagina 233, Miriam Mafai racconta di una gita in montagna con un gruppo di ragazze. Colte da un temporale di grande violenza, una di loro, Giovanna, di solito molto calma e serena, cominciò a dare segni visibili di paura. In realtà non ne aveva per niente. Giovanna, non aveva veramente paura, ma credeva “suo dovere” dimostrare di averla per sollecitare, con l’esibizione della sua fragilità, lo spirito protettivo dei giovani. Se avesse fatto diversamente, le sarebbe sembrato di tradire un certo ideale di donna al quale riteneva dover restare fedele: quella della donna “paurosa” per definizione. Parliamo dell’anno 1958, ma in fondo parliamo del retaggio di un’educazione che ha ancora una valenza pesante, soprattutto sugli uomini, un’educazione al contrario sulla quale forse non riflettiamo, a loro viene detto: “Proteggila”. E forse è proprio questa la parola galeotta, tanto deviata, da fare perdere il senso del verbo “proteggere”. Noi donne, simulavamo la paura per compiacere, ma negli anni ci siamo emancipate anche da questo “dovere”, e gli uomini hanno capito cosa vuol dire “proteggere” una donna? Hanno mai, soltanto, intuito il tipo di protezione di cui ha veramente bisogno, una donna? Lenti all’adattamento e ritrosi nel dovere accettare che il loro compito non è più proteggere la donna dal temporale, si riesce a spiegare loro che tutto ciò non vuol dire perdita del proprio “potere”. Se quella donna paurosa è cresciuta o è cambiata, o non è più la “sua” donna e avesse voglia di parlarne, potrebbe dirglielo, discutendone serenamente? Confrontarsi è di gran lunga più faticoso che proteggere, cade l’eroe. Il “macho”, forte solo fisicamente, diventa incapace di proteggere perché, piuttosto che “cedere” ad una fraintesa debolezza, lascia che la violenza prenda il sopravvento. Una rivalsa fatale, un’incomprensione atavica. Credo che, in fondo, la paura di Giovanna sia ancora nell’intimo di molte donne che si sentono impotenti a reagire, confuse, imbavagliate, appiattite, zittite e non chiedono solo protezione, ma, com’è giusto che accada, un uomo capace di valutarle, di ammirarne la loro forza, apprezzarne l’energia, di considerarle importanti. La donna, fuori dallo schema riduttivo di questa fragilità appioppatale negli anni e negli stereotipi, è piena di energia, capace di dare vita, è estrosa, leale, ambiziosa. La donna non è più pallida e spettrale come per tanti anni è stata descritta, anche in letteratura. Non è una casalinga, ma colei che custodisce la casa e accudisce i figli, è quella capace di fare andare avanti il mondo quando tutto sembra essere finito. Fra quanto tempo, per ognuna di loro ci sarà un uomo che accetterà, senza paura, di avere una Donna accanto?

2 commenti su questo articolo:

  1. silvia scrive:

    Quante volte succede che è invece la donna a “proteggere” l’uomo che ha accanto dalle sue insicurezze e fragilità? È piuttosto lui a cercare continue conferme nella fedeltà della sua compagna, nella sua dedizione che vorrebbe totale ed esclusiva. Ritrovarla ogni volta al suo posto, sicuro punto di riferimento, quando torna sconfitto e deluso da lavoro o trionfante e soddisfatto per un’ avventura amorosa. Chiede ascolto, comprensione, disponibiltà che raramente riesce a contraccambiare. Hai molta ragione Daria, fingendoci “fragili” facevamo sentire l’uomo un eroe. Accettando di essere “evanescenti” concedevamo a lui di avere maggior risalto e gli lasciavamo il centro della scena perchè potesse recitare la parte di primo attore….unico interprete dei nostri desideri e sceneggiatore anche della nostra vita.

  2. Patricca scrive:

    Cara Daria, ho sempre pensato che noi donne siamo brave a far sentire importanti gli uomini che abbiamo accanto,ma non avrei saputo tradurre meglio il concetto.
    Mi ha colpito l’idea che la nostra forza è tale e tanta da mettersi al servizio degli altri assumendo però una connotazione tutt’altro che positiva.

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