princesa, in una notte d’inverno …

22 marzo 2013 di: Mariachiara Ingrassia

Uno specchio. Narciso, il suo dolore d’amore inesaudito. L’inconsistenza di un’immagine sfocata, esanime. Una felicità d’acqua: effimero sogno sgretolato da lacrime salate. Una donna, uno specchio, la sua figura riflessa. La matita nera circonda l’occhio, calcata, color della pece. Il rosso carminio delle labbra socchiuse. Un trucco disfatto, stanco. Uno sguardo assente, altrove. Come il clown di un circo, dietro la scena, alla fine dello spettacolo, mentre cancella quel suo sorriso finto, grottesco, pacchiano. Acrobata di una vita nomade, di brevi soste fuori dal tempo. Si toglie la parrucca, in un atto ossequioso, come quando si entra in un luogo sacro, come in un inchino davanti al pubblico pagante, e scopre una testa canuta, e fa una riverenza a quel sé riflesso nel vecchio specchio, un saluto solenne alla propria verità.

Princesa elargisce sorrisi e carezze mai ricevute, e lo fa per mestiere. Fittizi attimi d’amore estraneo. È un transessuale sudamericano. È una donna che vende sesso, forse una bambina dal corpo esile, la pelle olivastra, tristi gli occhi. È una voce che squarcia il sonno che mi cullava, cruda e violenta, e mi costringe a vedere, vedere con gli occhi della mente, capire, interrompendo i mei sogni ignari, indifferenti, lontani. Yo me quedo sola, a mí no me quiere nadie, resto sola io, nessuno mi vuole, nadie me quiere, nadie: dalla finestra della mia stanza romana, un urlo, accompagnato dal rumore, quel rumore, quel tic-tac sulla strada delle colleghe di sorte, d’asfalto. Tic-tac, è il rumore dei tacchi a spillo sul marciapiede bagnato, come rintocchi a scandire il tempo di una notte piovosa, tra sperma e preghiera. A a mí no me quiere nadie: odora di whisky quella voce etilica.

Una nenia ipnotica, cadenzata, ripetuta in un metodico, disperato meccanicismo, e poi le automobili, i fari abbaglianti dei ‘consumatori anonimi’, a illuminare il buio, le paure. Mentre piove una pioggia catartica sulla via della notte che racconta storie di vita e d’emigrazione, di solitudine e di schiavitù, di piacere orgasmico e conquista di una nuova identità sessuale, tra emancipazione e stigma. Corpi e acqua, a lavare il dolore di una violenza, della terra lontana, l’odore di fumo, dei sessi altrui, della disapprovazione di una società ipocrita, in un’immersione panica. Se una notte d’inverno Narciso, il suo dolore d’amore inesaudito. Tic-tac, è il rumore dei passi incalzante.

9 commenti su questo articolo:

  1. Simona Mafai scrive:

    Non capisco il senso di questa specie di racconto.

  2. Mrgherita scrive:

    E’ misteriosa la ragione per cui l’autrice scrive, mettete le istruzioni per leggerlo e noi lo leggeremo!

  3. Emma scrive:

    non mettete sul sito quello che vi mandano scegliete per favore.

  4. mariachiara ingrassia scrive:

    ISTRUZIONI PER LA LETTURA DI QUESTA ‘SPECIE’ DI RACCONTO.
    Qualche piovosa notte fa, sono stata svegliata da una voce rotta dal pianto: ho dedotto che si trattasse di un transessuale sudamericano che è solito prostituirsi, come altri, nella piazza sulla quale si affaccia la finestra della mia stanza, a Roma.
    Parlava spagnolo e ripeteva, urlando in preda all’alcol e alla disperazione, la frase che ho riportato e tradotto. E’ andato avanti per circa mezz’ora, con le stesse parole, in un’insistenza martellante, come a voler svuotarsi l’anima in quell’urgenza. Il rumore dei tacchi sull’asfalto delle colleghe ne era il sottofondo, e mi è sembrato come se ne aumentasse la drammaticità, dilatando il tempo, scandendolo. Mi è venuta in mente l’immagine di una donna allo specchio, davanti alla sua verità: Princesa (ho voluto darle questo nome fittizio in ovvio riferimento alla canzone di De Andrè) sembrava parlare a se stessa, alla sua rabbia nei confronti di una vita infame che non le ha mai ricambiato le carezze elargite. C’era tanta solitudine in quella voce, e questo scritto, evidentemente risultato tanto criptico, ne voleva essere una riflessione.
    D’altronde pubblicare ed esser letti vuol dire esporsi a giudizi e critiche: se costruttive, le accetto di buon grado.

  5. Gabriele Genovese scrive:

    Sebbene deprimente dover stare qui a sviscerare l’essenza di un racconto poetico, dalle critiche (sterili in quanto non costruttive) mi par di capire che il problema fondamentale sia lo stile di scrittura di Mariachiara. Perchè mi rifiuto di credere che non si capisca che si sta parlando della storia struggente di un transessuale sudamericano! (“Princesa elargisce sorrisi e carezze mai ricevute, e lo fa per mestiere. Fittizi attimi d’amore estraneo. È un transessuale sudamericano. È una donna che vende sesso.”). La scrittura, dicevamo: qualcosa di personalissimo. Io, da conterraneo di Mariachiara, ci vedo dentro tutto il fuoco verbale della Sicilia, dirompente ed esagerato. Ci contraddistingue l’arte dell’esasperazione, l’amore per la parola e i suoi infiniti sinonimi da esplorare. Lei, in più, la caratterizza per la sua personale scelta stilistica: la paratassi (perché evidentemente ritiene di dover dare la stessa importanza ad ogni enunciato) per asindeto. A tutto ciò aggiunge, mi pare di cogliere, diversi omaggi a personaggi per lei evidentemente importanti, come De André e Calvino. Ora, uno stile che non si adatta allo standard “piano” può piacere o meno, stupire o infastidire, ma definire questo racconto una “specie” di racconto, chiedere agli amministratori di non pubblicare articoli del genere e quant’altro è svilente (per tutti) e poco rispettoso (per l’autrice).

  6. Renata scrive:

    Patetica la difesa di questo amico dell’autrice….nessuno l’ha offesa. Si esprimono opinioni sui siti e le critiche, anche se non costruttive, sono sempre critiche da accettare e i difensori d’ufficio non dovrebbero spiegare pedissequamente il senso del racconto, lo stile o i riferimenti letterari in esso sottesi. Ciascuno intende, di uno scritto, ciò che sente non ciò che gli altri vorrebbero sentisse o capisse. Perciò abbandoniamo la velleità di impartire “lezioni” a tutti i costi a chi non ha apprezzato e che ha avuto tutto il diritto di esprimere un’opinione. “Deprimente” che qualcuno non possa dire liberamente di considerare questo scritto una “specie” di racconto. Neanche a me è piaciuto, al di là di ogni altra considerazione, e penso di poterlo dire.

  7. lorenzo scrive:

    leggo il pezzo di Maria Chiara senza entusiasmo ma l’entusiasmo per lei mi viene leggendo i commenti. Brava hai risposto bene e con la chiarezza di idee che deve avere chi scrive e comunica e sa che puo’ essere accettata, capita o disapprovata, fa il tuo male il Gabriele che crea fazioni e taccia gli altri di non aver capito, Maria Chiara non mi è piaciuto il tuo racconto ma
    mi è piaciuta la tua risposta

  8. frantic scrive:

    sono un ragazzo trans e quella a cui si riferisce nell’articolo è UNA transessuale, non “un” transessuale.
    alle donne transessuali si dà il femminile, sappiatelo. già ce n’è troppa di transfobia in giro, evitate di farne anche voi.

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