I figli della mezzanotte di Deepa Mehta

30 aprile 2013 di: Elena Ciofalo

Il complesso romanzo dello scrittore indiano Salman Rushdie “I figli della mezzanotte” viene adattato trent’anni dopo per un intenso lungometraggio grazie alla regista indo-canadese Deepa Mehta, la quale si confronta con una densa epopea che mescola percorsi individuali a sessant’anni di storia indiana.

La regista Deepa Mehta è una delle più rappresentative registe del cinema indiano non legato a Bollywood, principalmente nota per la sua Trilogia degli elementi, composta da “Fire” del 1996, “Earth” del 1998 e “Water” del 2005, nominato agli Oscar come miglior film straniero.

Nella pellicola, alla storia collettiva, politica e sociale dell’India dal 1917 agli anni Settanta, si mescolano le vicende individuali di un gruppo di personaggi che ha il suo perno nel protagonista Saleem Sinai.

Alla mezzanotte del 15 agosto del 1947 viene dichiarata l’indipendenza dell’India dal Regno Unito, e uno scambio di culla, nato come gesto politico nelle nuove speranze per la nascente India indipendente, diventa un atto che condizionerà per sempre le vite dei due bambini scambiati.

Nella narrazione, generazioni e geografie si affastellano seguendo la vita di un protagonista. Saleem Sinai narra la sua storia, che inizia nel Kashmir del 1917, quando un dottore europeo e la sua paziente indiana si incontrano e sposano. Una delle loro figlie sarà la madre di Saleem, nonostante uno scambio di culla allontanerà il vero bambino di lei affidandolo ad un destino di povertà. Ciò che capiterà a Saleem sarà fortemente condizionato dai dilanianti conflitti che imperversano nell’India, nel Pakistan e nel Bangladesh dall’indipendenza indiana agli anni Settanta.

In una saga familiare, sebbene singolare nel suo genere, inevitabile sembra essere il riferimento alla maternità. Eppure la storia che Mehta racconta con il suo “I figli della mezzanotte” è piuttosto una metafora della “figlità”, un inno alla controversa condizione umana di “figli” che non è data tanto dal sangue comune, quanto piuttosto dalla capacità e dal bisogno d’amore della natura umana.

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