Cesare deve restare

24 maggio 2013 di: Clara Margani

La prova aperta del “Giulio Cesare” di William Shakespeare si svolge a Roma nel teatro della Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso, che può contenere 350 spettatori. Il pubblico, formato dalle persone che molto tempo prima si sono iscritte nel sito de La Ribalta Centro Studi Enrico Maria Salerno e sono passate attraverso i filtri della sicurezza della polizia penitenziaria, risulta essere vario: insegnanti, studenti universitari e delle scuole superiori, giornalisti, impiegati, semplici cittadini, i parenti di alcuni degli attori e Annamaria Cancellieri, nuova ministra della Giustizia.

Sono anni che i detenuti-attori della Sezione G12 Alta Sicurezza, guidati dal regista Fabio Cavalli, si confrontano con la pratica teatrale, portando sul palcoscenico del teatro della loro Casa, i testi teatrali più significativi, primi tra tutti quelli di Shakespeare. Nei testi rappresentati ricorrono spesso e non a caso i concetti di Giustizia, Vendetta, Lealtà, Amicizia, Tradimento, Libertà, questioni emblematiche e probabilmente vissute in maniera più autentica da chi ha un conto in sospeso con la legge e con la propria coscienza. Stando in sala, si percepisce quasi in modo fisico l’impegno e la passione di questi uomini privati della libertà. Quando salgono sul palcoscenico la loro interpretazione di testi “alti” si carica di una valenza di genuinità che trae origine proprio dalle loro tragiche esperienze di vita. La lingua che usano è la loro, e risente della varietà della provenienza regionale e nazionale. Una babele comprensibilissima in cui le parole dei grandi autori si arricchiscono della vitalità dolorosa ed esuberante degli interpreti, per cui l’elogio funebre di Cesare fatto da un Antonio siciliano e le riflessioni di un Bruto e di un Cassio campani non perdono niente del loro messaggio originario.

Mentre il film, che i Fratelli Taviani hanno tratto da questo spettacolo, è uscito da Rebibbia ed è entrato nelle sale cinematografiche e nei festival di mezzo mondo, gli attori in quanto detenuti della sezione di Alta Sicurezza per crimini, che prevedono in alcuni casi il “fine pena mai”, possono solo scendere dal palcoscenico e rientrare nelle loro celle. Sono entrati però nella mente e nel cuore delle persone che hanno assistito al loro spettacolo, le quali uscendo se li portano fuori a respirare l’aria della libertà, a cui sono ormai abituate e hanno dimenticato che si chiama così.

1 commento su questo articolo:

  1. GABRIELE scrive:

    concordo pienamente con:
    “Sono entrati però nella mente e nel cuore delle persone che hanno assistito al loro spettacolo, le quali uscendo se li portano fuori a respirare l’aria della libertà, a cui sono ormai abituate e hanno dimenticato che si chiama così.”
    E’ il sentimento che ho provato dopo la proiezione del film a Firenze, alla presenza dei fratelli Taviani.
    Complimenti all’autrice Clara Margani.
    Gabriele

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