Cosa vuol dire cittadin*?

10 maggio 2013 di: Marianna Marino

Chiara Saraceno è recentemente stata a Palermo per partecipare a un evento anticipatorio del Sicilia Queer filmfest (proiezione di Mine vaganti, di Ferzan Ozpetek) e a un incontro al Bar Libreria Garibaldi incentrato su due sue opere: Cittadini a metà e Coppie e famiglie. Al di là del ricordare gli eventi in sé, è importante notare che il discorso, focalizzato in varie modalità sulle relazioni sia sentimentali che familiari, è coinciso casualmente con l’insediamento del nuovo governo Letta. E, di conseguenza, con la riflessione su ciò che la nuova squadra ministeriale fa presagire. “Qualcuno ha sentito parlare di diritti civili nel discorso alla Camera del nuovo premier?”, ha chiesto Saraceno. Purtroppo ciò non è avvenuto. Clamoroso non-detto annegato nel vocabolario liturgico-biblico del nuovo presidente del Consiglio – indice della forte presenza cattolica al suo interno. Tuttavia, sottolinea la sociologa, addossare le responsabilità di questa cittadinanza negata o dimezzata interamente al Vaticano non basta. Non è sempre (tutta) colpa della chiesa, infatti: è soprattutto colpa della mancanza di laicità dello stato, dei politici. Delegare al cattolicesimo (considerato come elemento dotato di maggiore competenza etica) è la maggiore responsabilità dei politici italiani – e qui basta ricordare un’infelice affermazione di Giuliano Amato: “i credenti hanno una marcia in più”. Ciò che sarebbe mancato, dunque, è la volontà di assumersi le responsabilità di articolare un discorso laico, e le conseguenze di ciò gravano maggiormente su “cittadini a metà” come immigrati, omosessuali, donne (cui viene attribuito un “habeas corpus debole”, dichiara Saraceno). Incrociando questi dati con quelli della situazione economica, si nota anche che quello italiano è un “sistema riproduttivo delle disuguaglianze”, caratterizzato da una forte predestinazione familiare che immobilizza il paese. Inoltre, Saraceno rileva le presunte negligenze della generazione precedente (la sua): non aver visto quel che stava accadendo, dare troppe cose per acquisite. I diritti, dunque, non sarebbero mai una conquista definitiva ma, potremmo dire, piantine da innaffiare e curare, senza perderle mai di vista. I diritti, grandi scomparsi del discorso politico italiano monopolizzato da “crisi” e IMU, dovrebbero rientrare violentemente non solo nel nostro vocabolario, ma nel nostro modus vivendi. Per provare a ridefinire cosa significa essere cittadini: qualifica che non è sufficiente esibire/esercitare alle urne, ma che deve configurarsi come azione quotidiana, gesto da inserire nella lunga storia di mediazioni e conflitti che definisce il nostro essere umani.

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