la memoria di Peppino

10 maggio 2013 di: Mariachiara Ingrassia

A Cinisi, la casa di Peppino Impastato, nel corso principale, è una piccola casa, come molte altre, con le persiane all’antica, a pianterreno. Una targa la distingue: è la casa della memoria, una memoria lucida, a testa alta, per chi serba nel cuore quel ricordo e per gli smemorati anche, i ciechi di mente, per curare la loro invalidità spirituale, la peggiore delle malattie che conduce all’assuefazione alla menzogna e che finisce per creare dei precedenti che legittimano la nostra dose di disonestà quotidiana, quella delle raccomandazioni, dei favori all’amico, delle facili scorciatoie, ché in fondo in fondo siamo un po’ tutti così: è la cancrena della cultura mafiosa, silente, potente. La cura che prescriveva Peppino era la legalità.

Lottava con sguardo fiero lui che non aveva paura di guardare, vedere, denunciare, senza abbassare la testa e non aveva paura di squarciare sipari omertosi. Non abdicava all’accettazione passiva di ciò che cercano di venderci come male ineluttabile e non si rassegnava al suo destino di figlio di mafioso. Peppino Impastato era un cinisaro che lottava a mani nude contro la mafia, con il coraggio che appartiene alle persone straordinarie, quel coraggio che è amore, amore per la verità, viscerale amore per la propria Terra che, a vederla martoriata da uomini del disonore, fa sangue per il troppo dolore. E parlava alla radio, con il suo tono sarcastico e provocatorio, facendo satira politica per mettere in ridicolo tutti quegli ominicchi locali, per svilirne il potere, farsene beffa, metterli a nudo e mostrarne la piccolezza. Voleva informare, Peppino, dire: era un trascinatore carismatico, un entusiasta che, nonostante il disincanto consapevole e le costanti ombre di morte, credeva nella possibilità del cambiamento, perché quella fiducia, mai naïve, è un dovere morale che ci tiene ancorati a noi stessi, contro la confisca della libertà.

Peppino è stato ucciso da quella mafia da lui ripudiata, denunciata, sbeffeggiata, il mandante dell’omicidio fu Tano Badalamenti, in arte Toro seduto di Mafiopoli, ma nel ‘Paese degli accomodamenti’ in cui viviamo, ci sono voluti ventitre anni perché fosse riconosciuto il noto a tutti, l’ovvio. Ventitre anni e il dolore di una madre, costretto a farsi coraggio perché il suo silenzio non diventasse connivenza, coperto dai rumori dei depistaggi e dalle calunnie infamanti che lo volevano terrorista o suicida, lui che, condannato a morte, predicava la vita. Oggi, quei suoi occhi intensi qualcuno vorrebbe poter incrociarli, ringraziarli. Qualcun altro, purtroppo, continuerebbe a schivarli, per paura, forse, codardia, aridità d’intelletto. Occhi scomodi, spenti nel sonno della morte. Ma gli eroi, gli eroi veri come Peppino sono ‘fiori di campo nati dal grembo della terra nera, fiori di campo che muoiono sciogliendo sulla terra gli umori segreti’: è da quell’humus che dobbiamo ripartire.

Nubi di fiato rappreso

s’addensano sugli occhi

in uno stanco scorrere

di ombre e di ricordi:

una festa,

un frusciare di gonne,

uno sguardo,

due occhi di rugiada,

un sorriso,

un nome di donna:

Amore

Non

Ne

Avremo.

Già, amore non ne avremo, finché la mafia continuerà a seppellire la nostra Terra con la sua montagna di merda e le sue macchine del fango. Non avremo amore, finché saremo dimentichi della storia e annulleremo i confini tra i veri eroi e gli antieroi (è così che mr. Andreotti, una volta morto, si becca minuti di silenzio e commozione, con tanto di toccanti necrologi: non oso immaginare cosa abbiano in serbo per Silvio e le file per i pellegrinaggi al suo mausoleo). No, amore non ne avremo finché, come vittime di fulminanti amnesie di comodo, saremo i fantocci antropomorfi di questo teatrino di marionette orchestrato da potenti burattinai. Per questo non possiamo permetterci di dimenticare, per questo la memoria di Peppino è e deve essere cosa nostra, per ricordarci di tagliare i fili, vivere da uomini liberi a casa nostra, ritrovare l’Amore.

http://www.associazioneradioaut.org/forum-sociale-antimafia-2013/programma-forum-2013/

1 commento su questo articolo:

  1. Ornella Papitto scrive:

    Cara Mariachiara, sei coraggiosa, di quel coraggio nutrito dal senso di giustizia, quindi coraggio consapevole non rischio o esagerazione. Come per il giovane Peppino. Sto leggendo L’arte della gioia, di Goliarda Sapienza, anche lei, come te, come Peppino Impastato, non abbassa gli occhi. Questa ribellione è odiata da tutti quelli che vogliono dominare sugli altri altri. Non abbassiamo gli occhi, non caliamo la testa, in onore di tutti i martiri caduti per difendere la dignità di ogni individuo.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement