speculazione immorale su un assassinio
Pietro Maso è libero dopo avere scontato 22 anni di carcere. Nel 1991 uccise i genitori, con la complicità di tre amici. In quello stesso anno era uscito “American Psycho” il romanzo scandalo che mostrava il legame profondo tra la vita agiata e l’amoralità, tra eleganza e lusso e aggressività senza controllo. Per il protagonista di “American Psycho” non c’era differenza tra ordinare aragoste, ammirarsi allo specchio o sgozzare un barbone. Così di Maso, privilegiato “figlio di papà”, si notò bene come, alla fine della sentenza, si sistemava al polso il Rolex con “finta noncuranza”. Si parlava di una generazione che non forniva grandi motivazioni agli atti di crudeltà, esseri dipinti come puro istinto, prede di un furore assurdo e gratuito. Ora, a distanza di anni , è stato pubblicato da Mondadori il suo libro-confessione “Il male ero io”. Un testo in cui si parla di perdono, preghiera, pentimento. Non una versione aggiornata delle colpe sociali che avrebbero dato origine ad atti ignobili fra gli anni ’60 e ’80, caratterizzati da un’economia che passava di bolla speculativa in bolla speculativa, da un’educazione spesso basata sulla pornografia di massa, da una politica ridotta a comunicazione pubblicitaria. No, “Il male ero io” ci racconta “come”, in quale modo, Maso ha massacrato i genitori Antonio e Mariarosa per impossessarsi della loro eredità. Pur rifiutandomi di acquistarlo e leggerlo non sono riuscita ad evitare l’ascolto di alcune descrizioni raccapriccianti, lette in tv, e divulgate in rete con gusto macabro e vuoierista
Perché? Se il libro vuole essere un atto di pentimento e una richiesta di perdono, perché spingere all’emulazione scendendo nei particolari più crudeli? Perché non leggere e divulgare, se nelle pagine esiste, proprio la parte in cui si chiede perdono? Si dice che Maso è un altro uomo, è cresciuto, si è pentito, ha fatto un percorso di redenzione. Se anche fosse, e voglio crederci, non merita comunque “il successo” di un libro con il racconto dell’assassinio, in cui scrive: «Vado in bagno. Devo lavarmi. Apro a manetta l’acqua calda, tengo la testa bassa. Fisso le macchie sul dorso delle mani. E’ sangue. E’ il sangue di mio padre. E’ il sangue di mia madre. Ci è schizzato sopra, sulle dita». Non mi importa di conoscere nei particolari il racconto di un omicida nemmeno se vittima di una società che idolatrava la ricchezza e spingeva a commettere delitti senza provare rimorsi. A chi altri può servire, oltre che alla casa editrice per fare un po’ di vendite?
La comprensione delle pulsioni omicide non ha valore se l’autore è l’omicida. Non è possibile tornare indietro e cancellare tutto per tornare alla ribalta con un libro. E’ ridicolo. Il narcisismo, l’onnipotenza e la follia non possono continuare indisturbate nella mente di un ex assassino perché sarà, per tutta la vita, colpevole con la sua coscienza pur avendo espiato la pena. Anni e anni di dura detenzione possono cambiare una persona, forse. Elogiare il libro di un omicida che descrive il suo reato è speculazione immorale.
Ottimo articolo, combacia con i miei pensieri, Maso non ha ucciso qualcuno in un incidente involontariamente, ma i suoi genitore volontariamente, certo ha scontato la pena e non possiamo ghettizzarlo ma dal ghetto all’eroe,,,!
E’ triste riferire che tante altre volte da queste parti si sono verificati episodi del genere, ma le notizie non hanno mai varcato i confini della cronaca locale. Forse anche questo dato ha spinto gli editori a pubblicare il libro.