il racconto del mese: la ladra di cioccolata, fondente al 75%
Me ne accorgo per puro caso. Sono in un reparto dove non vado mai, cerco la nutella per Adriano, guardo i cioccolati, ammiro le confezioni, alcune addirittura patinate. Lei cattura il mio sguardo solo perché è accanto a me, ci finisco senza accorgermene, semplicemente ha in mano il cioccolato con la migliore confezione dello scaffale. Osservo quanto tiene in mano: è fondente, al settantacinque per cento. Non sapevo neppure esistessero le percentuali, io non mangio cioccolata. Lei non si accorge di me, sono talmente rapito che mi sono avvicinato senza far rumore, muovendo soltanto un po’ d’aria. Avviene in un attimo e quasi mi dispiace assistere: il cioccolato che ho tanto ammirato finisce con un gesto veloce all’interno della sua borsa firmata. E non è un caso.
Rimango esterrefatto e trattengo il respiro anelando alla trasparenza. Fortunatamente siamo vicini ma non al punto da risultare presente. Anche lei è assorta nei propri pensieri e si allontana senza badare minimamente a me. La guardo andar via e mi viene da ridere. Certo infilare una tavoletta di cioccolata in una borsa Gucci ha dell’inverosimile, ma l’ho visto con i miei occhi e adesso mi piace guardare lei di spalle: elegante, belle scarpe con bei tacchi, capelli raccolti sulla nuca con una sola ciocca appena poggiata sul bel collo. Prendo la nutella e cerco i biscotti per Speedo, il mio cane meticcio. Al supermercato vengo frequentemente, è sotto casa, io ho spesso desideri facilmente esaudibili e così prendo l’ascensore e compro il gelato confezionato che vorrei o la birra belga o il pollo allo spiedo per salvare una cena organizzata all’ultimo minuto.
Il sacchetto si fa pesante e mi ritrovo alla cassa. Stavolta ho la ladra di cioccolata davanti, ne posso serenamente ammirare gli zigomi ben pronunciati, le labbra un po’ severe e degli splendidi occhi verdi non particolarmente grandi, ma capaci di una luce addirittura abbagliante. Lei adagia ogni articolo sul nastro, si aggiusta i capelli con un movimento d’estrema femminilità e paga tutto, eccetto il cioccolato che non vedo sfilare tra gli altri prodotti da lei scelti. Ancora una volta mi viene da ridere, trovo ridicola e bizzarra tutta la scena, vorrei smascherare la sua ipocrisia da gran signora e restituire la barretta al suo scaffale ma non so da dove iniziare e lascio che lei vada via e tocchi a me, come se niente fosse. I giorni passano uno sull’altro ed io sono di nuovo al supermercato per una Perrier bella ghiacciata, due giorni dopo scendo ancora per prendere un grosso pacco di patatine congelate da fare fritte e una settimana dopo, stessa ora stesso reparto, incontro di nuovo la ladra gentildonna e si ripete la stessa identica pantomima. Rimango impietrito e penso semplicemente sia malata, abbia qualche problema, penso risolva così qualche turba inconfessata. Alla cassa la guardo con più attenzione: è bella, benestante e tanto ipocrita nel suo gesticolare garbato. Le vorrei fare capire in qualche modo che so quello che fa, ma proprio non trovo il modo.
La notte m’addormento e sogno una cucina con interi scaffali pieni di tavolette di cioccolata, poi mi sveglio e dimentico tutto, non so neanche se lei fosse presente o meno. La mia diventa un’ossessione: forse abita anche lei vicino il supermercato, forse abbiamo posteggiato mille volte vicine le nostre auto ma non l’avevo notata mai, fatto sta che l’incontro sia per strada, pochi giorni dopo, che in cartoleria. Ci guardiamo, lei addirittura accenna un’espressione tipo “ci siamo visti da qualche parte?”, io rimango rigido e capisco d’averla guardata con troppa insistenza, me ne mortifico quasi. Calo lo sguardo per terra e mi blocco sulle sue scarpe, tacchi alti, non esageratamente sottili. Tocca a me pagare e lei va via, senza che io arrivi a chiederle cosa se ne fa di tutto quel cioccolato, se lo mangia lei o lo porta a qualcuno, se rubare è qualcosa che la ecciti, se le basta così poco per provare l’ebbrezza dell’adrenalina. L’indomani pomeriggio vado in piscina ad allenare, spiego gli allenamenti agli atleti, m’intrattengo in tribuna con i genitori e mi sembra di riconoscerla al posteggio, non appena esco e salgo sulla moto. M’avvicino incuriosito ma non e’ lei. L’altezza era quella, il castano dei capelli anche. Arrivo a chiedermi perché io mi ritrovi a pensarla così spesso, e per un attimo penso anche che sono un moralista ridicolo e tutto sommato appropriarsi di una tavoletta di cioccolato può essere un vezzo, e non un crimine. Scorre così un’altra giornata, vado a letto e mi ritrovo a pensarla ancora, la prossima volta prenderò una scusa e le chiederò come si chiama, cercherò di capire dove abita, cosa fa nella vita. Non ho visto neppure se ha una fede all’anulare.
Passa una settimana e sono di nuovo al supermercato. Ancora lei: stavolta m’accorgo di stare a cercarla e giusto per non arrivare a mani vuote alla cassa, afferro una scatoletta di cibo per cani nel reparto animali e detersivi e la metto sotto il braccio. La becco quasi subito, riconosco addirittura il suono dei suoi tacchi, oggi è più attraente del solito, jeans attillati camicia morbida a tinte nere, diversi bracciali su entrambi i polsi. Vorrei guardarle il viso ma i nostri incontri avvengono quasi sempre con lei di spalle, sono sicuro non mi abbia mai notato più di tanto e questo mi dispiace. Vorrei dirle che è diventata un appuntamento della mia vita di cui non so fare a meno. Vorrei sentire che voce ha, vorrei condividere con lei il suo bizzarro gesto, vorrei esserne complice e riderne insieme. Invece non riesco a comunicare niente, inavvertitamente ci sbatto contro e sento il suo corpo toccare il mio braccio, e un flebile chiedere scusa, muovere i capelli e andar via. Pochi minuti dopo sono a casa. Quella donna mi attrae e trovo ineluttabilmente affascinante questa discrepanza tra quello che fa e quello che sembra sia.
Davanti il portone di casa, metto la mano nella tasca della giacca per prendere le chiavi. Mi ritrovo un cioccolato che non ho comprato: fondente, al settantacinque per cento di puro cacao. Penso a quando ci siamo sfiorati, a quando casualmente il suo braccio ha toccato il mio. L’addento tra il divertito e lo schernito. Non mi resta che aspettare domani, dopodomani, forse anche una settimana intera, per sperare d’incontrarla ancora, al reparto dolciumi.
le connessioni con il web costano, un racconto sebbene non mi sembra la sede adatta, può essere una buona idea ma così lungo, può essere bene accetto ma breve quasi una puntura di spillo, gentile Rosanna, gentile Silvana sono un vostro ammiratore ma non fino a questo punto!
Anche secondo me il racconto è troppo lungo per il web. L’idea di pubblicare un racconto è più adatta al numero cartaceo e non al giornale on line. Oppure i racconti dovrebbero essere più brevi.
ok ho voluto rischiare, ma almeno è un racconto sfizioso! saremo più brevi, grazie comunque della fiducia!
Mi piace l’idea di inserire nella rivista web un racconto come già è stato fatto altre volte per le poesie. Non di soli articoli vivono le lettrici e i lettori di Mezzocielo! Però sono anche d’accordo sul fatto che devono essere brevi, sfiziosi e …. pungenti come uno spillo, perchè così rispettano lo stile stringato della rivista web e possono dare testimonianza di ulteriori modalità e necessità di comunicazione, meno collegate all’attualità o alla riflessione.
Anche l’altra volta ho notato due articoli lunghissimi, dopo le prime righe si finisce con non seguirli più, chi viene sul web è famelico di cose ininterrottamente nuove, racconti si ma per essere così lunghi devono essere un’opera d’arte questo non lo è.
A me invece il racconto è piaciuto assai, assaissimo!!! Brava Cinzia
cinzia collura è sempre perfetta,ma poco conosciuta ed è un vero peccato!!! autrici di questa sensibilità sono perle rare….pubblicate più spesso se potete sarebbe splendido leggere altre cose,si anche più brevi!!se fanno più piacere al pubblico web!grazie.