viaggiare, oh, viaggiare!
Viaggiare, si sa, arricchisce il nostro bagaglio culturale, apre gli orizzonti, educa alla diversità e contribuisce al superamento di pregiudizi, oltre che allontanarci dalle noie quotidiane, ed è per questo che è la forma di divertimento preferita da giovani e non più tali, e incoraggiata da tutti. Negli ultimi decenni è diventato una forma di status symbol, e non solo in Europa.
In città come Londra sciamano frotte di adolescenti di varia nazionalità e idioma, che indossano tutti le stesse magliette, che giocano tutti con gli stessi telefonini, che producono più o meno la stessa quantità di cartacce e che rivolgono agli adulti gli stessi sguardi sfuggenti, colpevoli forse di contravvenire alle raccomandazioni o alle regole imposte da una società cui non sentono ancora di appartenere.
E’ impressionante come si assomiglino, persino nei comportamenti più comuni, come schivare la fetta estrema delle confezioni di pane per toast, che rimane unica in decine di sacchetti vuoti nelle vasche dei buffet a colazione, o rimanere vicini agli amici più cari in ogni momento di vita del gruppo, anche sui gradini delle case, a costo di sgomitare con tutti nelle code agli aeroporti. Sbattono sonoramente le porte delle camere d’albergo e nelle lunghe tavolate si sente parlare ad alta voce in francese, americano, tedesco, spagnolo: sono maleducati global, piccoli passerotti impauriti con le cuffie auricolari che li proteggono dal mondo e dalle sue regole, mandati a vivere esperienze ripetute all’infinito da generazioni di omologhi di cui conserveranno sicuramente foto-ricordo e qualche aneddoto divertente, ma anche questo è, dopo tutto, un aspetto della democrazia occidentale che scimmiotta cliché educativi di secoli passati.
Anche Byron e compagni, comunque, deturpavano monumenti insigni per segnalare la loro presenza a capo Sunio e chissà se Bill Gates o Jeff Benson hanno lasciato un lucchetto o la loro gomma da masticare anonima sul muro di Giulietta!
sono i nostri figli
vanno alla ricerca di una identità
non hanno, o non sentono di avere modelli
cui fare riferimento…
tanta umanità variegata li disorienta
e, forse per questo, preferiscono omologarsi….
Bellissimo commento, Gemma!
Sintetizza perfettamente l’ansiosa “necessità” di omologarsi per sfuggire alla paura di perdersi alla ricerca di riferimenti inesistenti o inaccettabili.