l’autobus delle donne
L’autista è una donna. Mentre al capolinea aspetta l’orario di partenza, legge un dépliant che pubblicizza l’apertura di una nuova palestra a prezzi promozionali. Sull’autobus salgono due donne con due carrozzine. Sulle carrozzine siedono due figlie: in una, una bambina, nell’altra una ragazza di forse 20 anni. I baci e le carezze sono uguali, l’attenzione alle loro esigenze identica, le madri sorridono alle loro creature, la ragazza chiede un bacio, la bambina vuole l’acqua.
Una donna molto grassa seduta e una molto magra in piedi, indossano entrambe quasi lo stesso abito attillato color rosa confetto. Una ragazza, forse impiegata in un ufficio di commercialista, parla tra sé e impreca perché la metro si è rotta e l’autobus è lento; poco dopo parlando al telefonino con un’amica minaccia di abbandonare i suoi datori di lavoro “sotto scadenza” perché la caricano ingiustamente di incombenze, poi accende l’iPad e si isola nella musica.
Una vecchia barbona ha riempito la piattaforma antistante l’uscita con le sue buste di plastica gonfie, da cui si espande nel mezzo pubblico un indescrivibile effluvio. Due studentesse ripassano la lezione perché temono di essere interrogate, una non ha studiato e l’altra cerca di aiutarla a memorizzare qualche nozione fondamentale. Sul giornale che si prende gratis nelle stazioni della metro, una donna con la divisa di una ditta di pulizie legge con un’aria interessata un articolo sui preparativi del matrimonio di Belen.
Una donna matura guarda fuori dal finestrino lo scorrere del paesaggio e prende appunti su un piccolo notes nero, un’altra più giovane fa dei conti con una piccola calcolatrice. Davanti ad uno specchietto dorato un’adolescente osserva disperata una serie di brufoli sulla guancia destra, seduta accanto a lei un’altra insulta al cellulare qualcuno di sesso maschile accusandolo di trascurarla. Una viaggiatrice gracile trascina sull’autobus una valigia enorme, aiutata da una più robusta che impugna una ventiquattrore coloratissima.
Una turista alle prese con una pianta della città si rivolge alla sua vicina di posto in un italiano fantasioso, per chiedere informazioni, e l’altra le risponde mettendo insieme in maniera personale ma efficace parole inglesi, francesi e spagnole. Quando ad una fermata sale un uomo, mi accorgo che nell’autobus fino ad allora c’erano solo donne e automaticamente, per quell’unica presenza, da passeggere diventiamo, grazie alla grammatica, tutte passeggeri.
Cara Clara, come sempre ti sei rivelata attenta osservatrice della varia umanità che ti circonda, realizzando un vivace quadro d’insieme. Forse non a caso l’uomo che appare nel tuo racconto rimane una figura indefinita, senza caratteristiche proprie tranne il genere maschile che lo contraddistingue. Le donne invece, sembra di vederle una ad una e quasi riconoscerle, colte nei loro più svariati atteggiamenti e modi di essere.
Così va il mondo.Oggi, nella scuola dove lavoro, sono state nominate tre insegnanti di sostegno
tutte e tre donne.Abbiamo tanti casi di ragazzi con disturbi di apprendimento o comportamentali
e speravamo che si presentasse all’appello qualche figura maschile:
ci sono delle situazioni in cui si rende necessaria una presenza di “genere”.
Ce la caveremo anche quest’anno…speriamo che non si lamentino i genitori: non è colpa nostra
se “i “docenti in servizio (grazie alla grammatica) sono prevalentemente “le” docenti