che la terra vi sia lieve
Un silenzio di commozione e preghiera quello che ha avvolto la Sicilia durante i funerali dei migranti morti il 3 ottobre a Lampedusa, nella più grande tragedia del mare accaduta fino ad oggi. Un silenzio che ha avvolto tutte le province che hanno accolto i feretri, fatto di dolore ma anche di rabbia nei confronti di un destino di vite spezzate e sogni infranti.
A Caltanissetta come in molti comuni, Dio è stato invocato in più religioni e lingue, in presenza di cittadini, esponenti politici e rappresentanti di associazioni. Ad ogni bara è stato associato un numero che difficilmente potrà tornare alla sua antica identità, con un volto, un nome e un sogno. Ma i ragazzi somali ed eritrei fotografano ugualmente quei numeri incisi sul cemento, nella speranza di offrire un aiuto concreto a chi cerca un parente, un figlio, una sorella, una moglie o un fratello. Neanche davanti a una morte così atroce mancano le polemiche, dovute ad una sepoltura quasi improvvisata e frettolosa e ad una presenza istituzionale che arranca dietro ad una situazione che supera le forze in campo. Come a Caltanissetta, dove i funerali sono stati organizzati da cittadini di buona volontà e dalle associazioni Arci e Sportello per Immigrati, senza alcuna mano d’aiuto da parte del Comune e delle istituzioni locali. Come ad Agrigento, dove i funerali si sono tenuti senza i 157 superstiti al naufragio, rimasti a Lampedusa per motivi di ordine pubblico ed in presenza di ministri e autorità fortemente contestati. Tante mancanze quindi, ma anche la buona volontà di quanti hanno voluto portare l’ultimo saluto a chi continua ad essere un disperso, anche nella morte.