il mare della disperazione
Dopo anni che sotto i nostri occhi i barconi affondano nel Mediterraneo, le persone annegano, cancellati dal mare come se non fossero mai esistiti e di loro non si conosce nemmeno il nome, la tragedia di questi giorni- e l’ultima dell’altra sera con altri morti annegati – ha suscitato finalmente l’indignazione. Finalmente l’isola di Lampedusa è stata messa al centro dell’attenzione dell’Italia. Da troppo tempo il mare era già diventato, prima di quest’ultima tragedia, un enorme cimitero di ignoti.
Lampedusa è stata lasciata sola, vera isola provata sia psicologicamente che materialmente dall’incombenza di un’organizzazione improvvisata e disordinata, unica testimone reale delle centinaia di vittime del mare, esseri umani che se ne sono andati, quasi sempre senza nemmeno un nome, inghiottiti dalle onde. Un piccolo paese disperso in mezzo al mare, in cui tutti gli abitanti si trasformano, quando occorre, in soccorritori, medici, volontari portando a terra i vivi e raccogliendo corpi senza vita. Fuori dai centri di accoglienza, Lampedusa s’improvvisa così, gente che non fa differenza, non chiede più documenti, non distingue fra cittadini e “clandestini”, non può. Non c’è altro paese al mondo in cui questo impegno sia messo in pratica con tanta costanza e determinazione. Hanno chiesto aiuto fino ad oggi, gli abitanti eroici di un’isola che continua ad ospitare, al limite delle proprie possibilità, dibattendosi fra i doveri morali e l’impossibilità di far fronte, materialmente, ad una richiesta molto più grande delle sue dimensioni di isola, delle sua possibilità in termini di mezzi e di leggi. Ogni giorno migliaia di uomini, donne e bambini sono costretti a lasciare la propria casa per mettersi in salvo da guerre, pulizie etniche, persecuzioni religiose o sessuali. Il rispetto per le speranze, i sogni, i diritti, i lutti e i dolori degli altri, però, è un dovere di tutti, non solo degli abitanti di Lampedusa.
La sfilata di tanti politici che ora gridano indignazione serve a poco, la protesta incalza e a quanto pare non sono state ricevute dal Premier e da Barroso le rappresentanze dell’isola. Ancora una delusione: l’impossibilità di esporre i problemi della gente, di far capire le esigenze. Le lacrime fanno certo parte di una commozione sincera, ma non basta più se non si parte da una vicinanza reale agli abitanti di Lampedusa, se non si concretizza il coinvolgimento dell’Italia intera e, soprattutto, di tutta l’Europa. Sono stati stanziati ancora 30 milioni di euro, si spera servano ad aiutare l’isola di Lampedusa, anche perché la gente ora deve anche pagare con gli interessi quelle tasse che erano state “sospese”, un assurdo per una popolazione che andrebbe aiutata, e che sta pagando in termini di economia e turismo con una dignità e umanità che purtroppo non vengono ricambiate da uno Stato che dimentica facilmente. Si spera che questa volta visite e discorsi non siano un “atto dovuto” come l’incriminazione di clandestinità che risuona davvero come una beffa per questi destini vaganti, senza tregua.
Già l’8 luglio scorso, con la sua visita pastorale sull’isola, Papa Franesco sentì l’urgenza di portare al centro dell’attenzione non solo d’Italia, ma del mondo, il dramma delle vittime morte in mare e di tutta Lampedusa. Rileggendo oggi l’omelia di quel giorno ho notato un parallelismo: non solo le vittime non hanno un nome, ma purtroppo (ed è ancora peggio) anche i responsabili: ” La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto” – «Dov’è tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice il Signore – «Dov’è tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue?”. Da queste chiare ed inequivocabili parole dovranno scaturire coerenti provvedimenti legislativo-economici