il femminicidio va in scena a Rebibbia
La rappresentazione si svolge nel teatro del carcere di Rebibbia a cura della Compagnia del Reparto di Massima Sicurezza, cioè quella in cui si trovano i detenuti che scontano pene che vanno dai 25 anni fino all’ergastolo. Tre detenuti attori, uno tra il pubblico, uno sul proscenio e l’altro seduto al centro del palcoscenico. Interverrà poi un’attrice professionista per il personaggio femminile. Su una pedana rialzata una violinista accompagna con la musica alcuni momenti della rappresentazione. Il testo è “La sonata a Kreutzer” di Tolstoi.
I quattro personaggi danno vita alla storia terribile del fiorire e dell’appassire di un amore coniugale, a causa della diversità di carattere dei due sposi e della gelosia dell’uomo che arriva ad uccidere la donna sospettandola di una relazione con un suo amico. Nel suo romanzo breve Tolstoi inventa due figure fondamentali: il narratore che ascolta e il personaggio che parla.
Il regista dello spettacolo, Fabio Cavalli, li fa interpretare da due detenuti, uno più giovane che sollecita l’altro a raccontare la sua storia, e uno più anziano che confessa un delitto terribile nei confronti di una donna prima amata e poi odia
ta, perché si rivela indipendente e creativa laddove egli la voleva sottomessa,
scialba, senza una propria personalità. Una donna che non è interessata solo a fare la moglie e la madre ma che ama la musica, la conversazione,la vita di società.
Con queste premesse la fine della storia è scontata e il femminicidio conseguente, ma la disperazione espressa per l’atto compiuto, recitata dal detenuto attore, è assolutamente emozionante e va al di là delle intenzioni di Tolstoi, entra nella realtà e nella cronaca di tutti i giorni.
L’attore che interpreta il marito, come Shakespeare fa dire ad Amleto, riesce a piangere per Ecuba, un personaggio della fantasia che con lui non ha nessun rapporto, ma il detenuto invece piange disperatamente per delle donne reali, per tutte le donne reali che quotidianamente vengono uccise, e chiede loro perdono.
Esperienze teatrali come questa raccontata da Clara sono tanto più significative se consideriamo le condizioni di generale degrado in cui versano le carceri italiane. Posso aggiungere che, in base ad una convenzione tra il Ministero di Giustizia ed il Comune di Roma, da diversi anni sono attive ben 20 biblioteche di istituto e di reparto all’interno sia del carcere di Regina Coeli che in quello di Rebibbia
Questo articolo mi ha fatto tornare in mente il monologo dedicato all’amore fatto da Luciana Littizzetto:
“In Italia in media ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex.
Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore.
La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro.. E noi che siamo ingenue spesso scambiamo tutto per amore, ma l’amore con la violenza e le botte non c’entrano un tubo. L’amore, con gli schiaffi e i pugni c’entra come la libertà con la prigione.”
Ho assistito anch’io allo spettacolo e ho provato la stessa sensazione di cui parla Clara e cioè che il detenuto, al di là della sua bravura come attore, come uomo si sentisse responsabile di un crimine altrettanto grave e chiedesse perdono alla vittima.