il disperato e gli integrati
I cassonetti delle nostre città sono ricolmi di spazzatura, emanano strani odori mentre sospetti liquami colano lungo l’asfalto. Attorno si può trovare di tutto, da sedie spagliate a rottami di vecchi elettrodomestici abbandonati lì. Ma questa mattina ho visto ciò che non avrei mai voluto vedere. Non si trattava di un rifiuto tossico, né di un topo o di un cane morto, né di altra cosa sgradevole che possa venire in mente. Riverso sulla strada, proprio a ridosso di un cassonetto, steso faccia a terra c’era un uomo. Ho sentito una stretta al cuore ed ho pensato: come è possibile che sia buttato lì come un rifiuto da smaltire, figura emblematica di ciò che sembra nient’altro che uno scarto senza alcun valore. Il corpo steso, un braccio ancora allungato verso una bottiglia di birra vuota.
Intorno si era raccolto un piccolo gruppo di persone, qualcuno aveva già chiamato l’ambulanza che da lì a poco è arrivata. Mi sono fermata anch’io ad attenderla, non per curiosità, ma perché qualcosa mi impediva di passare oltre come niente fosse. Quell’uomo dormiva profondamente, forse annullando nell’incoscienza la sua disperazione. Completamente inerte non ha fatto alcun cenno di reazione nemmeno quando i paramedici l’hanno rigirato a pancia all’aria. Allora ho intravvisto il suo viso: scuro di carnagione, aveva forse tratti asiatici.
Chi è, come si chiama, quanti anni ha, da dove viene, qual è la sua storia, come è arrivato qui? Tante domande che si affollavano e a cui avrei voluto trovare risposta mentre lo adagiavano sulla barella per portarlo in ospedale. Forse nessuno lo saprà mai. Ho ripreso la mia strada, a pochi passi dal punto in cui mi ero fermata c’è un bar gestito da una coppia di cinesi che accolgono la clientela con il sorriso e quell’italiano dall’accento un po’infantile. Penso che loro si sono integrati. Poco più avanti vedo uscire dalla cucina di un ristorante un giovane indiano: anche lui ha un lavoro e si è integrato. Alla fermata dell’autobus un ragazzo di colore indossa la pettorina di un’agenzia di volantinaggio: anche lui ce l’ha fatta ed ha un salario, seppur minimo. Ma l’uomo del cassonetto, quale speranza ha? Ci sarà mai per lui una possibilità di integrazione?
L’articolo e l’immagine mi riportano alla mente Eugenio Montale, 1925, ” Il male di vivere”
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.