il racconto del mese: in una sera d’inverno, la luce si spense
Quella mattina, uscendo di casa, non se n’era accorto; tornando, invece, col giornale e il pane, vide subito che sotto il porticato non c’era più niente. Via le coperte lerce, gli stracci, i sacchetti dal contenuto indefinibile, soprattutto via lui. A quell’ora (lui usciva assai presto) “quello” dormiva ancora, un fagotto informe e inquietante. Quante volte aveva segnalato, protestato, per l’igiene, per il decoro del palazzo, sempre inutilmente… e adesso, d’improvviso, il vuoto. Un vuoto pulito, constatò con soddisfazione. L’avevano fatto sgomberare, alla fine! Lieto, varcò il portone fischiettando.
Al solito incrocio, fermo al semaforo, ebbe una strana sensazione, come la percezione di un’assenza. Poi capì: la zingara non c’era. Ogni giorno, da mesi, mentre andava al lavoro, doveva subire l’assalto silenzioso di quella mendicante dalla faccia scura, solcata di rughe sebbene ancora giovane, con quel bambino piccolo per mano, che lui non poteva guardare senza raccapriccio. D’estate, le chiudeva il finestrino ostentatamente in faccia, d’inverno la ignorava, gli occhi fissi davanti a sé. Una volta l’aveva affrontata a muso duro: quel bambino, a quell’ora, non doveva essere all’asilo? E lei, perché non si trovava un lavoro? Quella aveva alzato su di ui uno sguardo muto, immobile. Aveva capito benissimo, ne era certo. Ora non c’era più. Ottimo, pensò. Finalmente se n’è andata, chissà dove.
Appena approdato sul marciapiede, di fretta come sempre, ebbe l’impressione che lo spazio circostante si fosse fatto più ampio. Dopo qualche secondo si rese conto che mancava quella ragazza che da qualche tempo sembrava diventata un elemento fisso del paesaggio, a cui doveva, ogni mattina, girare intorno: quella che stava in ginocchio, nel bel mezzo della via, a ostacolare i passanti, col capo chino e un pezzo di cartone in mano pieno di parole che lui non aveva mai letto, intento solo a schivarla. Aveva spesso pensato che fosse uno spettacolo vergognoso, intollerabile in quel luogo, la vetrina della città. Qualcuno doveva aver provveduto a mandarla via. Era ora, si disse.
Il giorno era trascorso e la sera tersa brillava di luci. Affacciato al balcone, guardò giù per l’ennesima volta. Quello spazio era sempre vuoto. Pensò che era stata davvero una gran seccatura: anche perché aveva avvertito spesso la fastidiosa sensazione che il volto di quell’uomo non gli fosse sconosciuto. Chi poteva essere? Ormai non aveva più importanza. Si accorse, invece, che la zona d’ombra tra il balcone e il suolo sembrava più vasta, inghiottiva gran parte dell’edificio allungandosi sulla strada. Osservò la fila dei lampioni sulla via: nessuno era spento. Le finestre degli altri palazzi erano illuminate, come al solito. Ma il buio sembrava farsi d’attimo in attimo più spesso.
Chiuso nel traffico serale, soffocante come sempre, arrivò al semaforo e sbirciò di traverso: nessuno. Si sentì sollevato, la sparizione sembrava definitiva. Quella donna gli ricordava continuamente qualcosa a cui non voleva pensare. D’altro canto, lui era nel giusto, lo dicevano anche le persone competenti, soggiacere alle richieste non era un modo adeguato per aiutare quella gente: piuttosto si sarebbe dovuto fare… si lanciò in elaborati piani impersonali, mentre attraversava l’incrocio: nulla che lo coinvolgesse direttamente, ovvio. Già dall’altra parte, ebbe l’impressione che qualcosa si chiudesse alle sue spalle, come una coltre oscura. Rallentò, sfidando i clacson, accostò. Nulla intorno sembrava cambiato; forme immobili, sagome di veicoli e persone in movimento, il solito scenario urbano. Ma tutto sembrava più scuro, come se dall’alto fosse calato, su ogni cosa, un velo opaco.
Al ritorno, passando su quel marciapiede, l’assenza della ragazza gli sembrò quasi palpabile. Si era abituato a vederla sempre lì, riflettè. Anche gli altri passanti, immersi nello shopping serale, volgevano di là, gli sembrò, un’occhiata furtiva, tornando subito dopo a guardare le vetrine. Rallentò, si fermò, oppresso da un’indefinita inquietudine. C’era intorno a lui qualcosa di insolito che non sapeva riconoscere. Forse…la luminosità diffusa da mille sorgenti e riflessa da ogni cosa, l’aspetto splendente della piazza e delle vie che si incrociavano intorno, erano come appannati, assaliti da un’ombra crescente.
Tutti e tre guardavano in alto quando ogni luce, di colpo, si spense.
Bellissimo racconto Rossella, specialmente perché evidenzia un pensiero escludente che ogni tanto viene anche a me, che mi ritengo tanto generosa e aperta di mente!
Una buona riflessione da estendere a tutto l’anno solare.
Un piccolo neo: peccato che nel titolo ci sia anche la … fine del racconto…
Non chiederti per chi si spegne la luce… essa si spegne per te. Un pensiero privo di umanità spegne tutta l’umanità.bel racconto. C’è qualcosa di Buzzati e molto di ciò che ci sta succedendo.