la lingua impura di Assia Djebar

6 dicembre 2013 di: Anna Trapani

La casa editrice Luciana Tufani di Ferrara ha da poco pubblicato il saggio “Lingua impura. Un itinerario tra gli scritti di Assia Djebar” di Bruna Colombo, docente liceale di italiano e latino nonché collaboratrice del trimestrale “Leggere Donna” della stessa casa editrice. Colombo esamina con lucidità e grande competenza il percorso letterario della scrittrice algerina mettendone in evidenza i peculiari aspetti e le trame ricche di suggestione. Soprattutto il rapporto donne e linguaggio. Ci fa conoscere attraverso la lettura di “L’amour, la fantasia” Assia ancora bambina che con la mano nella mano del padre va a scuola. A quel tempo il suo nome era ancora Fatima-Zohra Imalayène; diventerà Assia Djebar solo a ventanni quando pubblicherà il suo primo romanzo “La soif”.

Nata a Cherchell, l’antica città romana di Cesarea, la piccola Fatima ha la fortuna di andare in una scuola francese e suo padre stesso è insegnante di francese. Ma l’Algeria è colonia francese dal 1830 e quindi sin dal principio la lingua che impara e con cui scriverà i suoi romanzi è la lingua dell’Altro, del colonizzatore. Il padre è colui che la spinge verso la lingua del nemico che vieta l’insegnamento dell’arabo, mentre la madre le fa conoscere la loro lingua e la inoltra in un territorio di tradizioni con reminiscenze berbere. La molteplicità delle culture e delle lingue diventa per la scrittrice l’humus che sta alla base della sua produzione letteraria, come un torrente sotterraneo che emerge in superficie tra le righe della sua scrittura. Ma la scrittrice algerina fa anche l’esperienza del cinema come sottolinea Colombo e produce un lungometraggio “La nouba des femmes du Mont Chenoua” la cui preparazione necessita di una lunga serie di interviste e colloqui con contadine della sua regione che le racconteranno le tragedie della guerra di liberazione.

Potremmo dire che da qui nasce la parte della sua produzione letteraria più caratteristica perché investe la vita e la storia delle donne del suo paese. Colombo tiene a precisare giustamente che la scrittrice non può definirsi femminista in senso stretto, non è mai stata militante, ma l’impegno per la solidarietà e la sorellanza non è mai venuto meno. La studiosa italiana mette anche in evidenza gli elementi di consonanza, pur nella diversità di linguaggio, tra Assia Djebar e altre autrici di lingua francese e algerine come lei: Leila Sebbar e Hèlène Cixous. Non dimentica neppure di osservare una certa corrispondenza di idee tra Djebar e il filosofo Jacques Deridda, come lei algerino ma discendente da ebrei sefarditi. Insomma, un quadro completo per avvicinarsi o saperne di più di una autrice che merita tutta la nostra attenzione.

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