le lacrime di Valeria
Ha voluto riaprire la palestra che era stata costretta a chiudere, abbandonando tutto per rifugiarsi con i tre figli in una località sconosciuta, per non sottostare al racket intimidatorio della famiglia mafiosa che tiene in scacco la borgata di S. Lorenzo. Nell’anno del Signore 2013, a Palermo avviene che una giovane e bella imprenditrice che risponde al nome di Valeria Grasso, al momento testimone di giustizia nel programma di protezione assegnato a chi rischia ritorsioni gravi, per riprovare a vivere una esistenza ordinaria debba agire, anche contro voglia, in modo straordinario. Come sperdere l’identità, insieme ai figli, in un posto in cui non ha radici, non ha lavoro e parenti ed è precluso allacciare amicizie.
Così ha provato a tornare per rimettere in piedi l’attività che le piaceva svolgere, e qui è stata accolta dal caldo abbraccio di quella parte di città che, tra impegno e indifferenza, ha scelto da che parte stare. Oltre alla solenne accoglienza di sindaco e giunta in Municipio, l’abbraccio più affettuoso l’ha ricevuto da preside, docenti e studenti del Liceo scientifico Danilo Dolci di Brancaccio – località non propriamente esente da infiltrazioni simili – che nell’ambito dei progetti “Legalità” e “Pari opportunità” condotti dai docenti Clelia Lombardo e Luigi Barbieri, hanno organizzato una serie di incontri aperti alla città e con le istituzioni.
Come rappresentante di Mezzocielo ho partecipato all’incontro che si è tenuto proprio nella palestra di via Matteo Dominici a S. Lorenzo, – tenete a mente l’indirizzo, amiche palermitane, perché bisogna frequentarla e sostenerla, questa attività che sfida la sopraffazione mafiosa – dove era allestita la mostra delle biografie di donne vittime di mafia e di donne simbolo dell’antimafia, frutto di una ricerca compiuta da studentesse la cui coscienza civica si è dovuta formare, loro malgrado, sulla scia di sangue lasciata sul terreno dalle troppe vittime di mano mafiosa.
E’ stata emozionante la partecipazione di queste/i giovani, anche loro cresciuti in contesti difficili, orgogliose/i del sostegno che la loro scuola, con il preside Domenico Di Fatta in testa, offre a una donna-coraggio, vederli e sentirli esprimere non solo la solidarietà scontata, ma i loro propositi di vita lontani mille miglia dalle scorie avvelenate della mafiosità e anche dell’indifferenza.
E difatti si è comprensibilmente emozionata, Valeria, al pensiero di non aver condotto con sé i figli – per non fargli perdere giorni di scuola – a condividere l’abbraccio di questi ragazzi e ragazze come tanti/e della loro età, con i gusti le tendenze i tic dei loro coetanei, ma con qualcosa in più che li distingue. Loro sanno, hanno studiato, acquisito dati e quindi ragionato sul fenomeno mafioso che appesta la società di cui fanno parte e che alcuni dirigeranno e altri subiranno, poiché i loro docenti li hanno messi in condizione di distinguere e di scegliere. Questa gioventù, che ha già scelto da che parte stare, è la garanzia che Valeria con i suoi ragazzi potrà tornare a vivere in una città che prova a “fortissimamente ripudiare” la violenza mafiosa.