esecrazioni manzoniane
Chiedo profondamente scusa ad Alessandro Manzoni se mi permetto qui di citare alcuni suoi versi dalla metrica coinvolgente, che appartengono alla tragedia Il Conte di Carmagnola, i quali mi sembrano descrivere in maniera quasi profetica quanto avvenuto alla Camera nei giorni precedenti.
S’ode a destra uno squillo di tromba;
a sinistra risponde uno squillo:
d’ambo i lati calpesto rimbomba
da cavalli e da fanti il terren.
Quinci spunta per l’aria un vessillo;
quindi un altro s’avanza spiegato:
ecco appare un drappello schierato;
ecco un altro che incontro gli vien.
Già di mezzo sparito è il terreno;
già le spade rispingon le spade;
l’un dell’altro le immerge nel seno;
gronda il sangue; raddoppia il ferir.
- Chi son essi? Alle belle contrade
qual ne venne straniero a far guerra?
Qual è quei che ha giurato la terra
dove nacque far salva, o morir?
- D’una terra son tutti: un linguaggio
parlan tutti: fratelli li dice
lo straniero: il comune lignaggio
a ognun d’essi dal volto traspar.
Questa terra fu a tutti nudrice,
questa terra di sangue ora intrisa,
che natura dall’altre ha divisa,
e ricinta con l’alpe e col mar.
- Ahi! Qual d’essi il sacrilego brando
trasse il primo il fratello a ferire?
Oh terror! Del conflitto esecrando
la cagione esecranda qual è?
Ed è proprio così, caro Alessandro, esecrando è il conflitto ed esecranda la cagione, ma tu allora non potevi saperlo che dal campo di battaglia ci si sarebbe spostati nell’aula dei rappresentanti eletti democraticamente da quello che tu chiamavi allora «un volgo disperso che nome non h»a e ci invii questo sdegnato rimprovero attraverso le tue accorate parole, che forse i protagonisti dell’attuale scontro politico hanno letto ai tempi della scuola, ma su cui non hanno riflettuto opportunamente.
Clara Margani sei troppo forte!