Erasmus si, Erasmus forse!

18 marzo 2014 di: Stefania Di Filippo

Qual è il modo più semplice per imparare qualcosa? Viverla sulla propria pelle, esperirla, sentirla propria; e se questo qualcosa fosse la globalizzazione? Fosse l’imparare a sentire di appartenere ad un’unica, grande, famiglia? Quale sarebbe il modo migliore di imparare la solidarietà universale?. Una soluzione, anzi, credo la migliore, sarebbe diventare un Erasmus. Nel 1987, Maurizio Oliviero, fu il primo italiano, che armato di semplice volontà e senza l’aiuto della tecnologia di cui siamo attorniati oggi, chiese all’Università di Alicante ospitalità, diventando, inconsapevolmente, l’apripista di una generazione. Una generazione di ragazzi e ragazze che continuano, ancora oggi, a lasciare, per un periodo di tempo determinato, la propria Università per studiare in un altro paese. Un paese con una lingua diversa, con una cultura diversa, dove incontrare culture diverse, altri Erasmus, altri ragazzi con la stessa voglia di conoscere nuovi stili di vita, nuovi modi di pensare. Tutto ciò, com’è naturale, ha un costo economico, un costo che prevede il contributo dell’UE e dello stato di appartenenza di ogni singolo Erasmus, costo che è già minimo, i ragazzi ricevono 250 euro dall’UE e 230 dall’Italia, ma il problema più grande è che la maggior parte dei ragazzi ricevono la borsa di studio non appena rientrati in patria (l’Università di Palermo è un esempio di questa condotta) mettendo in difficoltà le famiglie che si ritrovano a dover sostenere gli interi costi dello studio all’estero del proprio figlio. Per chi pensa che “Tanto quando arriva la borsa di studio rientreranno nelle spese”, non è proprio così ed in ogni caso, non è giusto, nei confronti dei ragazzi che non si possono permettere di affrontare i costi con le sole forze della famiglia di origine, perdendo, quindi, la possibilità di poter arricchire la propria formazione, di diventare uomini migliori, perché un ragazzo che a 20 anni si trova a dover imparare un’altra cultura, ad abitare lontano da casa, si trova, volente o nolente, a cercarsi dei punti di riferimento, che in una microsocietà com’è quella Erasmus non possono che essere multietnici, quindi a 40 anni si trova più cosmopolita di quanto sarebbe potuto essere rimanendo chiuso nelle quattro mura di casa sua. Se abbiamo fatto l’Europa cerchiamo ora di fare gli europei, che non comporta certo rinunziare ad essere italiani ma avere qualcosa in più.

1 commento su questo articolo:

  1. Toyboy scrive:

    Interessante! periodi molto lunghi ma bell’articolo. Completo e preciso! complimenti

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