Sciarpe bianche e quote rosa

16 marzo 2014 di: Simona Mafai, 16 marzo

Che in Parlamento, nel corso delle votazioni per il varo della nuova legge elettorale, la presenza delle donne si sia sentita con  clamore e  in modo unitario (con alcune fratture),  è stata una buona cosa.  La discussione ha travalicato i confini del palazzo e si è riversata nelle case e tra le persone. La necessità di assicurare una presenza (quasi) paritaria di donne nelle candidature al Parlamento,  è stata in genere largamente condivisa. Ha lasciato più perplessi la ricerca di un eccesso di garanzie attraverso un predeterminato ordine di presentazione delle donne nelle liste (alternare una donna/un uomo) e la     copertura percentualizzata dei capolista (ad ogni sesso almeno 40 su 100). Richieste peraltro respinte dal Parlamento….

A parte alcune dotte (e medioevali!)  disquisizioni sulla insostenibilità  dello stesso principio di parità (mi piace citare, per la sontuosità del linguaggio, l’apodittica affermazione di Guido Ceronetti:  “Durerà fino alla fine del mondo l’inegualità dei sessi; le leggi della natura non le abbiamo fatte noi, legislatori dell’Inutile, brancolanti nel buio!”,  Repubblica, 28.2.014), permangono comunque alcune perplessità sulla  vicenda.

Il contesto in cui agiamo è caratterizzato dal fatto che l’elettorato, non essendoci più voto di preferenza,  è privato dal diritto di esprimere un giudizio personale sui candidati (donne e/o uomini) da eleggere. Questo vulnus (per parlare in modo raffinato) non può essere sanato  né da eventuali primarie obbligatorie, né da rigide regolamentazioni  di modalità di composizione delle liste, che alla fine imporrebbero   una camicia di forza ai partiti, insieme potenti ma anche esausti.   Meglio, a mio parere, lasciare loro uno spazio nel quale possano sfidarsi  e diversamente caratterizzarsi su questo tema.

Il gioco delle quote, inoltre, va gestito con misura; non è una panacea. Quote potrebbero essere chieste anche per altri profili. I gay e le lesbiche,  per esempio? gli immigrati di prima o seconda generazione?  le fasce di età?  i nati al Nord o al Sud del paese? Comporre le liste diventerebbe un gioco di scacchi.

Nei  Parlamenti del mondo la presenza delle donne,  sempre più numerosa ed autorevole, sembra determinata  non tanto da regole stringenti (pure utili!), quanto da fenomeni storici sociali (e purtroppo anche bellici: in Rwanda le donne sono il 63,8% dei parlamentari!) di cui le donne sono state protagoniste.

Mentre in Parlamento si svolgeva la  clamorosa  battaglia per la parità di genere,  scoppiava negli ospedali italiani (da Roma a Milano) la questione dei medici ginecologi obbiettori di coscienza,  e si denunciava la crescente difficoltà per le donne italiane di fruire del diritto alla interruzione volontaria della gravidanza. Perché tale situazione non è stata gettata  al centro del dibattito parlamentare? La presenza delle donne nelle istituzioni non è questione astratta di garanzie (o carriere?) personali, ma  un mezzo per sostenere le donne nella conquista e nell’esercizio dei propri diritti.  (E migliorare  tutta la società).

2 commenti su questo articolo:

  1. sandra scrive:

    il potere maschie è venuto allo scoperto. il re è nudo!! non potevamo aspettarci che quello che è accaduto. è stata un’altra violenza….ma anche la conferma che il patriarcato non è morto!

  2. Mriuccia scrive:

    Cara Simona ho visto che ogni settimana ci dai un tuo articolo, mi piace molto, sei sempre tu.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement