consecutio temporum dolorosa

4 aprile 2014 di: Clara Margani

Quando una persona muore i modi e i tempi dei verbi che si usano nei suoi confronti mutano ed entrano nella dimensione del passato. La consecutio temporum diventa una costrizione dolorosa della mente che deve coniugare in maniera diversa il predicato della proposizione, mentre l’emotività vorrebbe esprimersi in un presente o al limite in un passato prossimo. Invece a farla da padrone è il passato remoto, ma più ancora l’imperfetto e il trapassato prossimo che con la loro continuità nel passato sembrerebbero dare ancora qualche speranza.

In particolare l’uso dell’imperfetto del modo indicativo stabilisce una continuità nel passato, laddove nel presente non è più possibile: era, aveva, faceva, diceva …. e dunque secondo la sintassi l’azione nel passato paradossalmente continua, mentre nel presente non può più essere compiuta. Il passato remoto è invece inesorabile, definitivo, sembra affondare azioni e pensieri sempre di più in una dimensione distante, ancor più del trapassato remoto, ormai diventato desueto nell’uso attuale della lingua. Per quanto riguarda il futuro, la sua sorte è quella di essere legato alla negazione, al rimpianto di ciò che “non” potrà più accadere. I progetti di chi è rimasto e quelli della persona scomparsa nell’uso del futuro sono continuamente negati.

Ma il più carico di doloroso rimpianto è il condizionale passato, dove progetti, aspettative, aspirazioni e desideri palpitano ancora, stroncati da una condizione ineliminabile che li ha vanificati. E mentre nella coniugazione dei verbi si può andare avanti e indietro, nella coniugazione del proprio dolore si è obbligati a seguire una sola direzione, sempre più priva dell’articolazione delle persone singolari e plurali del verbo, fino ad arrivare all’infinito privo di qualsiasi articolazione, in cui la persona non esiste più e si esprime l’azione in un limbo inattivo, fisso e uguale per tutti. Lo stesso verbo “vivere” sembra giacere immoto e privo di connessioni con la realtà e la lingua sembra non a caso muta.

4 commenti su questo articolo:

  1. Maria Teresa scrive:

    Non so se Clara ha scritto questo articolo perchè ha subito un grave lutto, ma, usando la metafora della consecutio temporum, con le sue parole ha descritto perfettamente il dolore che ho provato per la perdita del mio compagno.

  2. Rita scrive:

    Una lezione di sintassi che emoziona profondamente.

  3. Sivana scrive:

    Anche se so che sei reduce dalla perdita di una amica, dunque ti ha spinto a scrivere un dolore, è un pezzo veramente bello valeva la pena elaborare così

  4. Marina scrive:

    Io credo, tuttavia, che nessuno scompaia definitivamente, finché il ricordo vivrà.
    Il giorno dei morti, i buddisti preparanto una cena sontuosa per il loro “cari estinti” e ne ritirano le fotografie dai domestici altarini, per sistemarle sulla tavola bandita. La sera, le foto ritornano sugli altari e i vivi banchettano pensando a chi, fisicamente soltanto, non c’è più.

    ….Mylène, Harold, Silvano, Adriana….

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