incontro con il padre
Desidero portare il mio personale e modestissimo contributo, in un argomento attuale, che spacca l’anima e le carni e divide le menti tra favorevoli e contrari. Unevento naturale che, impossibilitato ad accadere, scatena la confusione tra l’etica e la morale, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto,il vero e il falso. Michela Marzano, filosofa, ha scritto un articolo, il 10 aprile, intitolato così: “I veri diritti di mamma e papà”. Mi piace la giovane filosofa e leggo senza pregiudizi. Leggevo e sottolineavo e prendevo le distanze tra lei e me, distanze abissali.
Lei non lo sa, ma sta toccando il mio “punto debole”: ho incontrato mio padre, la prima volta, a 23 anni, lui ne aveva 60. Avevo smesso di cercarlo e me ne ero fatta quasi una ragione. Ma la rabbia c’era tutta, intera. Mi aveva sparata nel mondo, senza responsabilità. E non lo cercavo perché mia madre non fosse stata una buona madre, non lo cercavo per conoscere la sua storia, perché mia madre me l’aveva raccontata. Lo cercavo per incontrare i suoi occhi, lo cercavo perché non somiglio in nulla a mia madre che mi aveva generata, io sono differente da lei e volevo potermi identificare in qualcuno, mio padre, per definire me e capire da chi avevo preso quel carattere impulsivo, indomito, ribelle, pronto ad accettare le sfide e portarle a conclusione. Non era la sua storia che volessi sapere. Era la mia.
Lo conobbi e immediatamente fu identificazione, fu amore, fu rabbia, perché ero cresciuta senza la sua presenza, la sua guida, senza il suo appoggio, quando mi sentivo estranea nel mondo. ”Ma di chi sono figlia?” Questa è stata la domanda che mi ha seguita, da quando ho preso consapevolezza della sua assenza e da quando dovevo rispondere, in classe, negli anni dell’ipocrisia, anni ‘60, che avevo il cognome di mia madre. Al momento dell’appello, mi sudavano abbondantemente le mani. Poi, non più.
Cara Ornella,
non è facile aggiungere qualcosa a quanto hai detto. Mi hai fatto però tornare in mente qualcosa che mi è capitato di leggere recentemente (in cui mi sono riconosciuta) riguardo al film “This must be the place” di Paolo Sorrentino di cui ora riporto alcuni passaggi: “il viaggio-analisi di Cheyenne è un percorso alla ricerca di un padre sconosciuto e misterioso, di un passato finora senza storia… e sembra finalmente entrare in contatto col suo corpo, con se stesso, con una soggettività nuova. E’ solo un apparente paradosso il diventare figli perché figli si dovrebbe nascere. Eppure figlio diventa Cheyenne nell’ultima scena del film… Figlio adulto.
In un certo senso anch’io ho continuato ad andare alla ricerca di un padre perso troppo presto, per riuscire a definire meglio la mia stessa identità.