Ma conviene ancora andare all’Università
Se è scontato che università è sinonimo di cultura, non è affatto detto che per essere colti o semplicemente esperti di un settore sia necessario passare dall’università. Forte di questa convinzione, mi capita di riflettere sulle motivazioni che spingono molti over quaranta, cinquanta o anche sessanta a rituffarsi nel caos di esami e lezioni rimandate, di dispense da prendere in copisteria e di burocrazia e tasse. Sono distinti professionisti, medici o ingegneri, o ancora maestre e impiegate di mezza età. Gente insomma che del pezzo di carta non ha proprio bisogno se non come traguardo personale, e che spesso mi ritrovo come compagni di corso. C’è qualcosa che i libri o le lezioni online non possono proprio dare, un quid che nasce solo dal confronto diretto, con gli insegnanti e con i colleghi? É vero, come sosteneva Platone, che la cultura proviene non dai libri, ma dal rapporto dialettico? Rispondendo in base alla mia esperienza di studentessa posso dire che ben di rado mi è capitato di frequentare lezioni che aggiungessero poco o nulla alle mere nozioni libresche. Ho invece incontrato insegnanti che mi hanno spiegato che il rapporto insegnante-studente è un rapporto osmotico (“Io non doceo soltanto” -diceva la mia professoressa di latino- “Io disco”); tanti mi hanno raccontato belle storie, alcuni mi hanno insegnato ad amare i libri, altri mi hanno detto di prenderne le distanze, di diffidare delle versioni della storia che ci sono state tramandate, di mettere in discussione tutta quella cultura che diamo per scontata. Ed è forse questo quel qualcosa che più di tutto distingue l’università da altri percorsi di apprendimento culturale: lo stimolo ad affinare lo spirito critico o, più semplicemente, a usare il cervello. Qualcosa dunque, che ci rimarrà anche se un giorno coi pezzi di carta potremo solo decorarci le pareti. E allora sì, vale la pena di prendersi una laurea in lettere, di studiare, di lottare con le segreterie e con i docenti, ogni giorno.