Monica Castiglioni e Tumar, incontro di due culture

6 aprile 2014 di: Benazir Iskender

Ricevo nella mia casella personale una comunicazione che riguarda Monica Castiglioni, Jewel designer milanese ora trasferitasi a NY, che conosco personalmente per essermi imbattuta casualmente, parecchio tempo fa, nel laboratorio che teneva con altre socie nei pressi della stazione centrale di Milano e dove non mancavo mai di tornare, tutte le volte che capitavo in quella città, per comprare i più deliziosi gioielli moderni in bronzo e argento che abbia mai posseduto e regalato. Alcuni li posseggo tuttora, altri mi sono stati trafugati da ladri buongustai e ancora li rimpiango. Il testo che riporto narra di una nuova sperimentazione di Monica, che è anche «fotografa emozionale, sperimentatrice, ricercatrice curiosa, appassionata cultrice di nuove tecnologie e amante delle antiche tecniche di lavorazione della materia» come recita il suo profilo (//monicacastiglioni.com), che vale la pena conoscere e che vi trasmetto con alcune foto di sue realizzazioni, in esposizione nello showroom in via Pastrengo 4 a Milano.

Buona lettura, Rosanna Pirajno

«Cosa accadrebbe se Monica Castiglioni, sempre intenta a creare dei nuovi gioielli nel suo atelier di via Pastrengo, vedesse una borsa zeppa di feltro? Non mi sono posta il problema lo scorso autunno mentre andavo da lei, mi sarei accontentata solo di farle vedere un pezzo della cultura tradizionale del mio paese: il Kirghizistan. Portavo con me degli oggetti in feltro forniti da Tumar, azienda da anni impegnata con successo nella conservazione e nello sviluppo delle arti applicate in Asia Centrale. Il feltro è un materiale tessile molto antico, legato alla cultura nomade e ai suoi principali oggetti: la casa yurta, l’abbigliamento, i cappelli, le borse, i tappeti.

Vedere l’interesse per il feltro negli occhi di Monica fa capire qualcosa in più della sua arte. Il suo lavoro si basa esclusivamente sulla ricerca e sulle sperimentazioni dei materiali, delle tecniche e delle forme nuove. Così è nato il progetto, in modo spontaneo, immediato, senza trattative o contratti preliminari.

La conversazione è scivolata via velocemente. Si è discusso delle tecniche di produzione e lavorazione del feltro, della proprietà del materiale, delle sue caratteristiche, della sua storia. Dopo un po’ Monica ha preso un blocco per appunti e il lavoro è iniziato, ancora adesso stento a credere che sia accaduto realmente. Eppure stava prendendo forma un progetto su cui pesavano da subito due incognite: lavorare con me, una debuttante nel campo del design e collaborare con Tumar, azienda poco conosciuta al mercato europeo ma con una mentalità aperta alle sperimentazioni. La tranquillità di Monica ha sciolto tutti i dubbi e ha reso possibile la realizzazione di questa avventurosa collaborazione.

Il primo giorno sono nate tantissime idee, molte di più nei giorni e nei mesi successivi perché l’incontro tra Monica e Tumar ha avviato per entrambi una fase creativa completamente nuova. E’ stato istruttivo per me vedere il modo in cui un’idea prende forma sui suoi fogli, la sua mano é decisa, é la mano sicura dell’artigiana che sa tramutare in linee quello che ha in mente. Si potrebbe chiamare impulsività artistica o forse intuito professionale, certamente l’esperienza di chi conosce bene il proprio mestiere.

Se il progetto avesse un motto sarebbe: mai buttare via niente! Nel corso dei mesi, fino alla primavera 2014, in cui ho avuto la possibilità di frequentare l’atelier, non è stato buttato via un solo disegno, prototipo o modello di prova. Monica ha chiesto di conservare anche quegli oggetti che Tumar considerava da migliorare tecnicamente, in quanto proprio dagli errori di produzione si può cogliere la vera bellezza dell’artigianato. O meglio non sono mai stati considerati errori ma incarnazione dell’essenza dell’artigianalità attraverso l’interpretazione che il lontano maestro di feltro del Kirghizistan ha attribuito alle idee di Monica, facendo leva sul prisma della sua conoscenza del feltro e della sua capacità nella lavorazione. Monica non si è mai posizionata a capo del progetto, pur essendo l’anima e l’ideatrice artistica, ha accolto il ruolo dell’artigiano rispettando la sua esperienza e la sua conoscenza ereditata da generazioni. Già dai primi modelli di prova é stato evidente l’entusiasmo da parte dei maestri kirghizi desiderosi di creare qualcosa di nuovo, di sperimentare e collaborare con un’artista proveniente da una cultura completamente diversa.

Il materiale di Monica è il bronzo, colato sulla base dei modelli di cera. Il materiale principale di Tumar è la pura lana di pecora che viene follata con le mani utilizzando l’acqua e sapone per creare il feltro. Così alla fine del progetto le dure e solide forme dei gioielli di bronzo si sono unite alle morbide e leggere fibre di lana. La cosa più preziosa scaturita da questo progetto è la profonda comprensione reciproca che si é stabilita tra le due culture artigianali lontane ma nello stesso tempo simili. Nonostante la distanza e l’impossibilità di lavorare fianco a fianco, nonostante le differenti lingue e quindi l’incapacità di comunicare su dettagli tecnici molto specifici, Monica e Tumar hanno trovato nell’arte il linguaggio comune.

La libertà per il processo creativo fortemente voluta da Monica, l’imprevedibilità della forma finale, l’attenzione al materiale, la spontaneità della creazione, hanno elevato il feltro al ruolo di reale protagonista del progetto. Pur essendo stata io il tramite tra due mondi artigianali il progetto é stato guidato dalle illuminazioni di Monica alla quale vanno i miei ringraziamenti per aver reso possibile questa esperienza di grande arricchimento per me e per Tumar.

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