piccole buone azioni per cambiare direzione

6 maggio 2014 di: Rossella Caleca

A molti i provvedimenti del governo Renzi sono sembrati poca cosa di fronte alla profondità della crisi che attanaglia il Paese, altri dubitano dell’effettiva possibilità di realizzazione delle misure programmate. Ma il “bonus” per le fasce più basse di reddito, il tetto agli stipendi dei manager pubblici, la riduzione dei costi della politica, la revisione del programma di acquisto degli F35, la tassazione delle plusvalenze delle banche e delle rendite finanziarie, per quanto possano essere insufficienti, mostrano nuova attenzione verso un vecchio problema.

Queste piccole buone azioni segnano un’inversione di tendenza: un primo tentativo per ridurre le disparità e i privilegi, la distribuzione squilibrata delle risorse e la riproduzione inesorabile delle disuguaglianze tra i generi e le generazioni, che fanno dell’Italia un Paese tra i più diseguali, pur essendo tra i primi dieci più ricchi. «Un paese diseguale, ancora prima di essere ingiusto, è inefficiente»: così afferma Emanuele Farragina, un giovane studioso italiano “espatriato” ad Oxford dove insegna Politiche sociali, in un libro dal significativo titolo Chi troppo chi niente, che costituisce una penetrante indagine sull’iniquità ed inefficienza del nostro Paese. L’Italia, afferma Farragina, non può più permettersi i costi della disuguaglianza: negli ultimi anni, in Italia come in molti altri Paesi, le forze politiche progressiste hanno finito per seguire, o non sono riuscite ad opporsi, ai conservatori nel favorire lo sviluppo di un mercato senza frontiere, ottenuto anche sacrificando l’uguaglianza e riducendo le tutele dei lavoratori. Tutto ciò somma a radicati privilegi nuove sperequazioni. Ma le disuguaglianze vanno di pari passo con l’inefficienza del sistema.

Già in ambito europeo, non molto tempo fa, il peso della disuguaglianza era stato dimostrato, non su basi ideologiche o di teoria politica ma con metodi propri delle scienze sociali; mettendo in relazione la sperequazione dei redditi con l’incidenza di diversi problemi sanitari e sociali (tra cui disagio psichico, dipendenze, varie forme di violenza ma anche mortalità infantile e speranza di vita), si evince che questi ultimi non sono correlati al reddito medio, ma al grado di disuguaglianza, cioè all’entità del divario tra ricchi e poveri in una data società; e quindi non è la crescita economica complessiva di una nazione che rende i suoi abitanti più sani e felici, ma la minore disparità economica e sociale tra di essi, che si pone anche, in tempi di crisi, come condizione fondamentale per un reale sviluppo. «In assenza di crescita, non ci salverà l’austerità, ma la redistribuzione».

Insomma, la cosa più importante non è quanto è grande la torta, ma come è ripartita: esattamente al contrario di quanto affermato dalle teorie neoliberiste, per le quali la continua crescita, l’aumento della ricchezza complessiva, avrebbe “automaticamente” effetti positivi per tutti, è stato ormai dimostrato che il benessere collettivo dipende dalla riduzione delle disuguaglianze: non si tratta di una teoria, ma di un’oggettiva realtà.

1 commento su questo articolo:

  1. Ornella Papitto scrive:

    Mi stupisco ancora, dopo quasi vent’anni, quando vedo poveri, anzi poverissimi, che votano i miliardari di turno, i quali, da populisti e da enfatici quanto mai, vogliono convincere i poveri cristi, che, votarli, sia la scelta migliore …
    Quei poveri illusi, hanno mai visto un ricco che sia anche generoso? Tengono tutto per loro e ben stretto… Altroché redistribuzione… Tutt’al più si separano da loro ma solo per farli eespatriare.
    La generosità è la qualità dei poveri e sicuramente non dei ricchi.
    Sono ancora molto dubbiosa riguardo Renzi ma devo riconoscere che ha fatto azioni impensabili fino a qualche mese fa.
    Ma dove dormiva l’opposizione?

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