le ragioni di rileggere un libro

3 giugno 2014 di: Angelo Bagnara

La risposta precisa alla domanda «perché si rilegge un libro» non c’è. I motivi possono essere infiniti ed uno dei più comuni è legato al fatto di ricevere il libro in regalo, mentre ne state leggendo un altro. In questo caso lo si mette da parte e si riprende in mano dopo un certo tempo; a volte vi dimenticate d’averlo letto perché nel frattempo lo avete messo in libreria e non sapete se lo avete letto o no. A me è capitato con  Qualcosa da tenere per sé di Margherita Oggero. L’ho ricevuto in regalo per il Natale del 2008 e l’ho letto – o riletto ? – in questi giorni. Il libro è scritto da una donna che ne ha scritti parecchi altri: La collega tatuata; Una bestia ferita; L’amica americana; Provaci ancora Prof , tutti nella collezione Oscar Mondadori ed alcuni, come l’ultimo, utilizzati in Tv con la bravissima Veronica Pivetti nei panni della protagonista.

Ho preso il volume in mano, l’ho sfogliato e sono rimasto molto incerto: intanto era assolutamente intatto, le pagine perfette, la copertina, pur essendo di carta molto sottile era integra e senza alcuna piega. I dubbi sulla avvenuta lettura sono aumentati. I commenti in ultima pagina erano tutti entusiastici. Ma questo è normale: sarebbe molto originale se capitasse di trovarne uno in cui si dicesse male del romanzo o dell’autore. Ho cominciato a leggere e sono rimasto affascinato; la scrittura è nitida e ti avvince. Ti determina quella sensazione gradevole, fino ad un certo punto, che è quella che non ti fa interrompere la pagina; devi assolutamente andare avanti e sapere cosa vi è dopo, come si conclude quell’avvenimento e cosa capita al protagonista. Il protagonista? E chi è? Ve ne sono tanti, tutti essenziali; legati fra loro da un filo sottile, che mi è capitato spesso di avvertire, quando il libro è scritto da una donna, come in questo caso.

Molti dicono che la mia è una posizione preconcetta, che mi fa dire che la scrittura del maschio è più rude, mentre quella della donna, anche quando affronta situazioni pesanti, è sempre più elegante e poggiata, con maestria, su di un piano più morbido, con aggettivi scelti con più cura, con frasi più brevi, a volte ricche di un interrogativo finale, che aiuta la tua perplessità e frena il tuo giudizio o la tua conclusione più precipitosa, come capita quando l’autore è un uomo. Il romanzo, come dicevo, è complesso, definirlo un giallo sarebbe sminuirlo; è la descrizione avvincente di tante personalità complesse, alcune estremamente sofferenti, ma tutte attuali, autentico grande schermo del momento che viviamo, in particolare per coloro che sono sotto i quaranta.  Dopo le prime pagine, mi sono convinto di non averlo letto; la storia è così affascinante che mi sarei ricordato qualcosa anche perché tutto si svolge in una città, Torino, ove ho vissuto per cinque anni della mia giovinezza, da studente universitario, città della quale ricordo molto bene sia la struttura ambientale, sia il modello umano che la caratterizza e che certamente sarà un po’ cambiato, ma non del tutto. Il libro va letto o riletto perché Margherita Oggero «scrive con leggerezza disincantata, infila la vita sotto le fessure delle porte..… ma stando sempre di lato, con ironia e divertimento», come dice Maurizio Crosetti di la “La Repubblica“ nell’ultima di copertina, giudizio che che mi sento di condividere in pieno.

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