“Gli sbarchi e i morti invisibili che mi assediano” da Repubblica.it del 257\2014

25 luglio 2014 di: Ilvo Diamanti

“…Mi fa orrore la mia abitudine all’orrore. Alla disperazione. Anche se è una reazione di autodifesa. Serve a vivere e a sopravvivere. Ad allontanare l’angoscia.

Così mi concentro su me stesso, sulla mia famiglia, sui miei amici, sul mio lavoro. E sulle mie ferie. (Come potrei riposarmi e distendermi, non dico divertirmi, con quel carico stracarico di disperati negli occhi? Come potrei fare il bagno, entrare in acqua, pensando che il mare intorno a me, in verità, è un sepolcro?) Quei barconi. Li vedo sbarcare, sugli schermi, senza vederli. Come si trattasse di immagini artefatte. Documentari girati altrove, in altri tempi. Anche se sono veri, quei poveri fuggiaschi, diventano persone senza personalità, ai miei occhi. Non migranti, ma “stranieri”: estranei da me. Lontani dal mio mondo.

Per questo li guardo con ostilità. Non perché minaccino la mia vita e la mia condizione. La mia sicurezza. Ma perché mi (im) pongono di fronte alla mia indifferenza. Alla rimozione dell’orrore – dagli occhi e dalla mente. E mi costringono a trasferire su di me la pena che dovrei provare verso gli altri. Così la sofferenza diventa insofferenza. Risentimento. Verso quei disperati che mi fanno scoprire – e sentire – assediato. Da me stesso.”

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