le istituzioni culturali in mano a chi elargisce fondi

28 luglio 2014 di: Rosanna Pirajno

Quelli che si collocano nella categoria “cittadinanza attiva” sono solitamente contribuenti che non si lamentano troppo della esosità delle tasse, se queste servono ad alimentare servizi e attività che hanno bisogno di sostegno “speciale” perché lo Stato, da solo, non ce la fa. E, guarda caso, sono sempre più i settori che producono cultura ad aver bisogno di sostegno perché, non solo da quando qualcuno decretò che «con la cultura non si mangia», il livello culturale dell’apparato di gestione del Paese si è abbassato tanto da sconfessare finanche tutto quello che ci ha dato lustro e prestigio.

Ecco perché non fanno una grinza, i vari premier governatori presidenti leader e via elevando, quando per effetto dei tagli anti crisi le prime a cadere sono le istituzioni che hanno a che fare con la cultura, quindi musei, biblioteche, archivi, laboratori, teatri, sale concerti, conservatori musicali e altre strutture addette alla produzione e tutela della cultura di un popolo, costrette a chiudere o ridotte ad elemosinare per sopravvivere. I cittadini, specie in Sicilia e a Palermo, assistono con sgomento al progressivo smantellamento di quelle che loro, i cittadini, non i politici e i governanti, considerano le impalcature di puntello al processo di crescita civile, umana ed economica della società di appartenenza, poiché sono persuasi che nessuna comunità possa vantare progresso o sviluppo se non fondati sulla conoscenza dei molteplici sedimenti della civiltà che li ha nutriti. Per progettare in chiave moderna il futuro, con tutto quel che comporta, si sa quanto sia necessario elaborare i lasciti del passato, non si scappa.

Ma per andare al concreto, i criteri clientelari con cui la Regione Sicilia è tornata ad erogare contributi “a muzzo” ai più svariati organismi inseriti nella resuscitata “Tabella H”, dopo solo un anno di applicazione del bando di assegnazione trasparente e meritocratica, hanno portato allo smantellamento – che dovrebbe far sobbalzare e arrossire di vergogna – di importanti organismi culturali come la Storia Patria, il Museo del Risorgimento, la Fondazione Whitaker, il Museo Mandralisca di Cefalù, … e sono a rischio chiusura l’Istituto Gramsci ed altre storiche istituzioni private che vedono drasticamente decurtate le proprie entrate a fronte di elargizioni milionarie a sconosciuti, o peggio impostori che si presume collettori di consensi elettorali o altri vantaggi.

Se c’è urgenza di rottamare il peggio della politica locale, è proprio da questo che bisogna ripartire, dalla trasparenza dei criteri di assegnazione “al merito” dei fondi pubblici, dalla emanazione di bandi che premino serietà e competenza, efficienza e “passato” delle istituzioni pubbliche e private che hanno dato prova di saper produrre e tutelare cultura in tutte le forme e linguaggi. Istituzioni che meritano quindi la fiducia dei cittadini, non di essere “di fiducia” dei potenti elargitori di fondi.

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