tintarella sì, tintarella no

15 luglio 2014 di: Federica De Felici

Era il settembre del ’59, alla radio risuonava la voce di Mina sulle note di Tintarella di luna. Nelle sue parole si raccontava l’unicità di una ragazza dalla pelle color del latte, splendente tra le altre, paonazze e rosse a chiazze. È innegabile che la tintarella nella storia abbia fatto salti rocamboleschi, dall’essere irrinunciabile a decisamente volgare. Fino all’Ottocento veniva considerata un segno esteriore di povertà. Infatti mentre i ricchi potevano starsene comodamente a casa, al riparo, i più poveri sgobbavano sotto il sole e la chiara evidenza era il guadagno di un colore più scuro della pelle. Di conseguenza, la pelle bianca, sinonimo di purezza ed eleganza, era un must a cui nessuna nobildonna poteva rinunciare.

La svolta avvenne nel 1903, quando Niels Ryben scoprì i prodigi della fototerapia sulle malattie infettive che mietevano vittime proprio tra chi evitava di esporsi ai raggi solari. Ma fu Coco Chanel che, quasi per caso, lanciò la moda della tintarella. Dopo essere stata in Costa Smeralda aveva infatti assunto un colorito della pelle più scuro, piacevole quanto bastava a non essere volgare. E le sue clienti vollero subito imitarla. La storia si ribalta. Beffa alle patrizie romane, ai bianchi plebei di Guido Reni e a tutta la corte francese, Marie Antoinette compresa. È gara a chi è più scura. Nulla di più lontano da cosa sia giusto fare e dal lento e corretto modo di prendere il sole nel rispetto delle proprie caratteristiche genetiche. La tintarella spopola. Eppure, quell’essere un po’ bruciacchiati fa tendenza. Largo a sublimi immagini dalla pelle perfettamente abbronzata e dorata, la realtà è, spesso, ben lontana da questo risultato pubblicitario. Le imbarazzanti scottature rivelano segni di costumi, sfumature ton sur ton decisamente poco chic. E così, come patatine dal panellaro, si sta a friggere sulla sabbia, ore e ore di immensa fatica, a sopportare il sole nelle sue ore più calde. D’altronde, chi bella vuole apparire tante pene deve soffrire. Ce lo ripetono da quando siamo bambine e finiamo per crederci. Poi, ancora una volta la storia si smentisce. Bando alle lampade dei centri fitness, ai raggi ultravioletti, dannosi perché cancerogeni. Il sole va preso a piccole dosi, e a determinati orari. Sì alla vitamina D, no alle scottature. Mina ci aveva visto bene.

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