la donna ideale

5 agosto 2014 di: Rossella Caleca

Nel tardo pomeriggio del suo ultimo giorno di ferie il dottor Carlo Dolcemascolo fece un incontro destinato a cambiare la sua vita. Aveva deciso di trascorrere la giornata al mare, da solo. Dopo la fine dell’ultima relazione settimanale riteneva di avere definitivamente chiuso con le donne; essendo poi un amante della natura e del silenzio, il dottor Carlo prediligeva località ignote alle masse. Quel giorno aveva raggiunto, col suo off-shore, una caletta inaccessibile dalla terra, nell’area di una riserva naturale. Fu al ritorno da un’ultima nuotata, al tramonto, che la vide. A tutta prima pensò a un’allucinazione; ma quando si avvicinò la visione non disparve.

Era là, seminascosta dalle rocce. I capelli lucenti le ricadevano lunghi sul viso, coprendole in parte i seni; fissava l’orizzonte, le sue squame iridescenti vibravano e la coda oscillava al ritmo delle onde. Quando si volse e lo guardò, a Carlo mancò il fiato. Era proprio come l’aveva immaginata nelle sue remote notti di ragazzo; e si rese conto che, oscuramente, per molti anni aveva continuato a credere che un giorno l’avrebbe incontrata. Senza alcun timore, lei allungò un braccio, offrendogli un riccio di mare già aperto; lui lo prese, con cautela portò il mollusco odoroso, ancora vivo, alle labbra; ebbe in bocca un sapore ineguagliabile. Le disse di impulso, «vieni con me». Lei gli sorrise e gli porse entrambe le mani.

Dovettero aspettare che la notte fosse alta per approdare, attraversare la città, entrare nel suo elegante appartamento. Carlo la guidava tenendola per mano, cauto, timoroso che ad un gesto, ad una parola sbagliata, potesse svanire nell’aria. Ma lei rimase.

Sul letto, la sua bellezza sembrava avere la consistenza palpitante ed effimera delle creature marine; ma la pelle sottile celava carne solida e calda, che lo avvolse in un’unica delicata carezza; l’amore con lei fu la rivelazione di ciò che aveva sempre cercato – la pienezza di una fusione senza remore né limiti. Più avanti nella notte, appena prima dell’alba, un canto sommerso, ondulato suscitò in chi l’udì, tra sonno e veglia, un vago turbamento.

Nei giorni seguenti, Carlo si ritrovò spesso a contare le ore che lo separavano da lei. Aveva ripreso a lavorare, ma la sua attività professionale e i suoi interessi e piaceri abituali gli sembravano vuoti e privi di senso. Niente altro poteva dargli ciò che lei gli dava.

Ripensando alle sue storie precedenti, lo riempiva di disgusto ricordare le altre donne, le loro pretese, le loro critiche. Tutte, prima o poi, diventavano lagnose, insopportabili con le loro richieste di attenzione, con la loro smania di reciprocità. Lei, invece, non gli chiedeva nulla. Lo amava semplicemente, naturalmente, come una pianta ama la luce del sole. Attendeva il suo ritorno scivolando lieve per casa, riempiendola del suo profumo; poi lo ascoltava attenta, e quando parlava non c’era traccia di nostalgia nelle sue parole, ma solo interesse per lui e il suo mondo. Il loro accordo era perfetto.

Ma Carlo non aveva previsto l’invadenza di una realtà popolata da individui rozzi e volgari. Col passare dei giorni, i vicini che incontrava nell’androne, o in ascensore, cominciarono a lanciare occhiate lunghe e sospettose. Forse qualcuno aveva individuato la provenienza dell’insolita melodia che si diffondeva ogni notte? Anche la portiera lo squadrava con insistenza; e, una sera, giunse a suggerirgli di prendere un sonnifero, se soffriva di insonnia, piuttosto che ascoltare musica a ore tali da recare disturbo ai condomini. A questa intollerabile intrusione Carlo oppose un silenzio sdegnato. E c’era anche chi, passando dal pianerottolo, ostentatamente annusava la sua porta. Da qualche tempo sulle scale aleggiava il profumo di lei; un odore, per gli altri, indecifrabile e tuttavia vagamente familiare.

Ben presto, suo malgrado, dovette rendersi conto che le minacce alla sua felicità non venivano solo dall’esterno, trasparivano anche da lei, dai suoi occhi di ora in ora più malinconici – un velo rendeva opaco il loro verde splendente. Eppure, continuava a ripetergli di voler restare con lui per sempre, essendogli unita indissolubilmente.

Un mattino Carlo comprese che la sua splendida storia d’amore non aveva futuro; e negli occhi di lei incontrò la stessa consapevolezza. Le accarezzò a lungo il viso, delicatamente; la sua pelle era divenuta estremamente pallida, opalescente, fragile. Sentì un blocco di piombo chiudergli la gola: occorreva prendere una decisione, senza rimandare oltre. E l’unica soluzione era chiara ad entrambi.

Prima di uscire, stringendola tra le braccia, mormorò: «A stasera».

Lei sussurrò, pianissimo: «Sarò pronta».

Al ritorno, salendo le scale, Carlo notò che il profumo s’era fatto ancora più intenso; scosse la testa, sospirando, poi aprì la porta e la richiuse dietro di sé.

Anche quella sera – ma molto prima del solito – i vicini udirono levarsi il consueto canto lieve e malinconico. Poi, per tutto il palazzo si diffuse un invitante, appetitoso aroma di pesce fritto.

4 commenti su questo articolo:

  1. sonia scrive:

    Deliziosa, deliziosa, deliziosa, brava Rossella, aspetto la prossima

  2. Giuseppe scrive:

    Ahahah brava! Hai reso divertente la vicenda di due figure specularmente agghiaccianti. Una che non sa dare l’altra che non sa ricevere. La metafora non è troppo invadente o didascalica ma si nota alla fine, quando si esaurisce la curiosità del come va a finire. L’unica cosa, pesce di queste dimensioni l’avrei fatto arrosto a tranci. Ma va be’.

  3. Silvia scrive:

    Non sono della stessa idea di Giuseppe è la solita storia che vince il più forte, la sirena quasi s’immola e invece di tornare nel suo abitat si fa mangiare per amore. Il tutto scritto con grande umorismo.

  4. magda scrive:

    le sirene o sirenidi sono un ordine di mammiferi acquatici euteri, pertanto partoriscono i figli già completamente formati e i loro cuccioli succhiano il latte…più che di pesce fritto si sarà trattato di odore di arrosto

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