l’Italia sulla bicicletta di Nibali

2 agosto 2014 di: Clara Margani

Sono interessata alle corse in bicicletta da quando, bambina, insieme con mio padre, che era un vero appassionato, seguivo alla televisione in bianco e nero le tappe del Giro d’Italia, del Tour de France e le varie classiche in linea. Sono poi passata a seguirle più sporadicamente alla televisione a colori, quando andavo a trovarlo, per fargli piacere e, dopo la sua morte, sono tornata con una certa assiduità a questa abitudine, per sentirlo ancora presente e vicino. Ho assistito dunque all’ascesa progressiva di Vincenzo Nibali nella classifica generale dell’ultimo Tour de France che lo ha portato ad indossare la maglia gialla fino all’ultima tappa, quella che si svolge nel meraviglioso scenario dell’Avenue des Champs-Élysées a Parigi, e a salire come vincitore sul podio con lo sfondo magniloquente dell’Arc de Triomphe.

Dopo aver firmato diligentemente alcune maglie gialle prima con il cognome e poi con il nome, Vincenzo Nibali in quella occasione ha voluto leggere con un atteggiamento dignitoso e mite un breve discorso, in cui ha ringraziato tutte le persone che lo hanno aiutato e quelle a cui vuole bene, terminando con una breve frase in francese. Leggendo il suo discorso ha utilizzato la lingua italiana senza nessuna inflessione dialettale, rappresentando così l’Italia del ciclismo da Sud a Nord, lui che, da Messina dove è nato, si è trasferito in Toscana con la sua famiglia di origine, che lo ha seguito nel giorno del trionfo a Parigi insieme a quella d’elezione: padre, madre, moglie e figlia. Il padre, intervistato dai cronisti, ha preso spunto dal successo del figlio per sollecitare i giovani di Messina a svegliarsi e a pensare che con lo sport si può andare lontano. La sua vittoria da altri intervistati è stata considerata come una rivincita nei confronti della delusione dei Mondiali di calcio. Da altri ancora la presenza di due francesi come secondo e terzo sul podio è stata considerata una soddisfazione rispetto ad altre umiliazioni sportive. Intanto Nibali, inquadrato in primo piano, visibilmente commosso, ascolta l’inno italiano mentre sul pennone più alto sventola il tricolore. Ora che ha vinto il Tour de France sente il peso di tutta l’Italia sulla sua bicicletta; un’Italia calcistica che dà poca importanza agli altri sport, che ignora le vittorie delle ragazze della scherma e del fioretto, interessata com’è all’acquisto di qualche calciatore straniero, un’Italia che aspetta forse di vederlo coinvolto in qualche caso di doping, un’Italia che ha dimenticato i nomi dei grandi campioni del ciclismo del passato e si ricorda di Pantani forse solo per la sua tragica morte.

Ma è probabile che Nibali non pensi a tutto questo. A commento della vittoria di un campione sportivo mio padre diceva sempre: «Ha fatto il lavoro suo» e io credo che questo abbia pensato Nibali durante la cerimonia di premiazione, di aver fatto il suo lavoro, di essersi guadagnato la vittoria al Tour facendo quello che sa fare e per sua fortuna gli piace fare. Scendiamo dunque dalla sua bicicletta e lasciamogli fare tranquillamente il suo lavoro.

2 commenti su questo articolo:

  1. rita scrive:

    E’ la sua vittoria forse un segno del destino che ci indica la strada a suon di pedalate?

  2. Marina scrive:

    E se ognuno facesse il suo lavoro…

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