a Vicenza, Emma Dante ha fatto il pieno

24 settembre 2014 di: Rita Annaloro

Gran successo di Emma Dante all’Olimpico di Vicenza per il suo nuovo spettacolo “Io, Nessuno e Polifemo”, che ha inaugurato la stagione in cui come primo direttore artistico donna, dopo Nekrosius che l’aveva invitata 2 anni fa, ha chiamato gli artisti più diversi, da Simon Abkarian a Mimmo Cuticchio, da Romeo Castellucci a Andrei Konchalovsky.

Le hanno detto tutti sì, stimolati come lei dalla sfida di portare le loro sperimentazioni in un autentico teatro del ’6oo, con le statue di marmo che ti guardano implacabili dall’alto dell’impalcatura scamozziana e il pubblico di fronte, seduto in un’alta cavea che ha visto e applaudito per secoli i mostri sacri del teatro classico.

Certo non tutti hanno capito tutte le parole recitate in napoletano dai bravissimi Salvatore D’Onofrio (Polifemo) vestito di nero, apparentemente pietrificato, quasi sempre al centro del palcoscenico, che fra invettive e lamentazioni narra della grotta oscura da cui tutti proveniamo e nella quale lo ha riprecipitato la cecità provocatagli da Nessuno e dai suoi compagni mentre dormiva ubriaco, con Carmine Maringola (Nessuno/Ulisse), a petto nudo, abito scuro, puttaniere ma sostanzialmente fedele alla moglie, che si vanta delle sue imprese. Forse a qualcuno sarà sfuggita qualche citazione dotta, come l’omaggio a Carmelo Bene  “un morto che non si è ancora abituato all’eterno”, perché anche il pubblico oggi non è più quello di una volta, ma le domande poste da quell’intervista impossibile, con Emma Dante e i due antagonisti in scena a ragionare tranquillamente sui temi dell’ospitalità, del raggiro, del viaggio e sull’essenza stessa del mito, hanno sicuramente avvinto gli spettatori, sia per la pregnanza socio-culturale che per l’eleganza della messa in scena.

Qualcuno è rimasto colpito dai balletti, dall’ossessione del movimento, come ho sentito dire, ma soprattutto ai più giovani brillavano gli occhi pensando alla sofisticata drammaticità delle scene del prologo, in cui l’espressione corporea delle tre danzatrici, occupate a far muovere dei manichini, riusciva a comunicare quanto nessun testo sarebbe riuscito a dire. Emma Dante in questo spettacolo è riuscita a mettere assieme le forme più diverse, dal teatro danza all’intervista, dal monologo al balletto, in un testo fluido e a tratti autoironico, vicino alla sensibilità del nostro tempo.

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